Giornata dell’ammalato

Riconosciamo innanzitutto che è il Signore Gesù, che per mezzo di Maria, ha chiamato qui, in questo santuario, vera clinica dello Spirito, ciascuno di noi, quali poveri, storpi, zoppi e ciechi, secondo la descrizione del Vangelo appena annunciato.

Riconoscendoci tutti nella condizione di povertà e di debolezza, tipici della natura umana, siamo i privilegiati della grazia, persone chiamate, quali figli e figlie amati e preziosi, a cui Maria rivolge parole di piene di consolazione, attinte dalla Parola di Dio, vera guida per un cammino di vita, fedele allo Spirito di Cristo.

L’uomo grande non è il potente e il ricco, e nemmeno il sano, non è chi si sente superiore agli altri e spadroneggia umiliando i  fratelli, ma chi utilizza la sua condizione, qualunque essa sia, come una occasione favorevole per fraternizzare, per crescere in umanità, mantenendosi sempre mite e umile. “Quanto più sei grande, tanto più fatti umile, e troverai grazia davanti al Signore“, ci ha appena ricordato la parola di Dio nella prima lettura.

Ora noi non siamo qui per rattristarci e piangere le nostre infermità fisiche, psichiche o spirituali, ma per trovare la forza di ripartire, pensando a ciò che è ancora possibile compiere o semplicemente constatare, piuttosto che commiserare noi stessi per quello che non si è più in grado di realizzare, come un tempo.

Non possiamo rimanere curvi sul nostro passato, vivere solo di ricordi. Occorre piuttosto chiedere la forza di vivere intensamente il tempo presente, in piena consapevolezza, riconoscendone i doni e le opportunità, avvertendo tutto il positivo che esiste, pure nel tempo della infermità, se li sappiamo scoprire e accogliere.

La santa madre Teresa di Calcutta scriveva in una sua preghiera: “Non voglio vivere di foto ingiallite“. Il nostro sguardo deve essere rivolto al tempo presente e aperto con speranza al futuro che Dio conosce.

A volte viviamo così concentrati su noi stessi da non essere in grado di gustare quelle piccole o grandi gioie e consolazioni che ci vengono proprio dalla nostra condizione di fragilità. Le malattie sono sempre un male, è vero, e occorre combatterle, ma anche nelle situazioni di precarietà, possiamo sempre scoprire dimensioni a volte sottovalutate o addirittura di cui non ci siamo mai resi conto.

La circostanza, qualunque essa sia, non è un ostacolo alla felicità o alla speranza, ma ne è il tramite.

La speranza la si può offrire e nello stesso tempo ricevere.

Riempie di speranza il vedere il sorriso di un bambino o la disponibilità all’ascolto di una persona che viene a visitarci in casa.

Lo sguardo di un malato, di una persona disabile, riempie di dignità  la persona che sta prendendosene cura.

Tutti portiamo nel cuore il desiderio profondo di amare e insieme di essere amati, il desiderio di sentirsi vivi, parte di qualcosa di più grande, con una meravigliosa e inguaribile voglia di vivere.

Il Vangelo di oggi, invitandoci ad accogliere gratuitamente gli altri, invita quanti assistono i malati ad evitare che essi si sentano un peso inutile alla società, che spesso promuove una cultura dello scarto, ma a diffondere la cultura della tenerezza, che è luogo di guarigione e di consolazione.

L’Eucaristia che riceviamo ci trasformi in un solo corpo vivente e ci rende capaci di condivisione, come Gesù, che con noi e per noi spezza nuovamente il suo pane, cioè dona il suo corpo e la sua vita per noi, per mezzo della sua offerta sacrificale al Padre.

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