Il teologo Paolo Curtaz e la Misericordia

Nella serata di giovedì 14 febbraio, presso il teatro parrocchiale di Dongo, il teologo e scrittore Paolo Curtaz ha tenuto un incontro dal titolo “Misericordia in azione – Essere Chiesa secondo Cristo”, organizzato dalla Cooperativa l’Aurora di Domaso in collaborazione con il Vicariato delle Tre Pievi. Introducendo l’incontro, l’arciprete di Dongo, don Romano Trabucchi, ha richiamato il legame del tema dato alla serata con quello del Sinodo diocesano che ci invita ad essere “testimoni e annunciatori della Misericordia di Dio”. San Girolamo, quando doveva tradurre la Scritture, per indicare l’atteggiamento che Dio ha verso di noi, utilizzò per la prima volta il termine misericordia, generato dall’unione tra misereor e cordis, parlando quindi di “una compassione che abita nelle viscere”. La misericordia non è la pena, non è una debolezza, ma “è la cosa più grande e più ricca che c’è”. Nel capitolo 18 del Vangelo di Matteo, oltre a leggere la prassi della correzione fraterna all’interno della comunità, troviamo due domande a Cristo. Una su chi tra loro fosse il più grande, alla quale Gesù risponde con l’invito a farsi come bambini e la seconda su quanto si debba perdonare a un fratello peccatore con la risposta di Gesù con la parabola del servo senza misericordia. Il teologo ha evidenziato come, al giorno d’oggi, si parli poco e male di peccato, “lo si ridicolizza”, facendosi l’idea che il peccato sia il trasgredire una regola. La parola ebraica che traduciamo con peccato, indica letteralmente il fallire il bersaglio, vale a dire che “Dio ti ha creato per fiorire e a te va bene essere un fiore di plastica”. Traendo spunto da un detto dei rabbini, Curtaz ha spiegato che “i comandamenti sono la siepe che costeggia la strada verso la felicità”. Dio ci dona delle indicazioni, ci insegna “a prendere a cuore la santità dell’altro”. Il re, a differenza del servo che non ha compassione verso il suo simile, condona tutto il debito al servo che gli doveva diecimila talenti, “un debito incolmabile, impossibile da restituire”. Il perdonare settanta volte sette indica un sempre, una pienezza, che va immensamente oltre le tre volte sino alle quali si poteva perdonare secondo i rabbini. L’insegnamento di Gesù cambia tutto, ti dice che “sei chiamato a perdonare sempre perché a te è stato perdonato altrettanto”. Quando capita di essere traditi o delusi veramente, bisogna “valutare se è opportuno o no perdonare”. Non si perdona mai perché l’altro cambi, “si perdona per se stessi, in un gesto che non è mai amnesia, ma è un gesto di volontà, non emozione”. In una società in cui siamo tutti incattiviti, ci sentiamo vittime, snervati, “le comunità cristiane possono diventare una profezia per un mondo diverso, facendo ritrovare la capacità di ascoltare, di portare pazienza, contagiando gli altri con il perdono”. Chiudendo il suo intervento, Curtaz ha ricordato a tutti che “il cristianesimo non è la fiera del buon senso” ed ha spronato a ripartire dal proprio posto nella comunità, sapendo “osare la santità”. (Davide Bonadeo, da Il Settimanale del 21/02/2019)

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