L’invito del Vescovo ai giovani: scrivetemi

Sono onorato di poter venire a casa tua. Ti raggiungo nella tua abitazione, che è (o dovrebbe essere!) il luogo degli affetti più cari, il luogo dove ti puoi esprimere senza troppe maschere (ossia senza difese), dove appari come sei, nel bene e nel male. Vengo a bussare alla tua porta: la porta del cuore. Vengo come può venire da te un amico, un fratello, un padre che si prende cura di tutti, un padre che a nome di Gesù ti dice: Ti voglio bene! Sei prezioso ai miei occhi. “Ti ho amato e ho consegnato la mia vita per te”. In questi giorni ti ho pensato molto, ho immaginato varie volte le tue condizioni di vita, costretto a vivere gomito a gomito con i tuoi familiari, magari in uno spazio limitato. Ti ho pensato in casa, magari intento nello studio, oppure alle prese con i diversi collegamenti con i tuoi amici, per non lasciar venir meno le relazioni. Spero che abbia trovato il tempo anche per pregare, magari insieme, come famiglia, o con i tuoi fratelli e sorelle. Ho pregato per quanti hanno avuto dei lutti familiari, parenti e amici morti soli in ospedale, senza una mano amica che fosse loro vicino nel momento del trapasso. Ho pregato per quelle famiglie che stanno sperimentando la povertà per il venir meno delle risorse economiche, ma anche per quanti fanno fatica a vivere insieme o è difficile un’ intesa, perché non si è troppo d’accordo. Penso alle domande che ragionevolmente ti stai ponendo in questi giorni per comprendere cosa stia succedendo. Penso anche a qualche tua preoccupazione o dubbio sul tema della fede: in un periodo come questo è normale! Spero anche che ti stia domandando cosa vuol dire il Signore a te, alla società, alla Chiesa attraverso questa situazione del tutto imprevista di allarme generale.  Per me questa è l’ora della paternità, perciò ho pensato di accogliere le tue domande o semplicemente i tuoi stati d’animo, favorendo un dialogo diretto e personale con te, invitandoti a inviarmi qualche email direttamente al mio indirizzo di posta elettronica. Te lo lascio, se ti va di usarlo nel corso delle prossime giornate: oscar.cantoni@ diocesidicomo.it. Io vorrei impegnarmi a risponderti personalmente per
assicurarti che in questo tempo la Chiesa c’è, ti è vicina e si presenta veramente, quale deve essere, “una Chiesa samaritana”. Permettimi a questo punto alcune mie riflessioni. Attraverso questa crisi del corona virus, cosa possiamo comprendere?
1. CHe CoSa imPariamo? In questi giorni così drammatici emerge veramente chi è l’uomo, ossia fragile e vulnerabile. Certe correnti di pensiero hanno sostenuto che l’uomo, divenuto maggiorenne, è onnipotente, così che può fare a meno di Dio e può vivere come se Dio non esistesse. In questi giorni tuttavia è lampante che la nostra vita continua ad essere avvolta dalla fragilità e debolezza, dalla provvisorietà e dalla insicurezza. Occorre accettarsi come creature. Ma poiché siamo figli, per Dio ciascuno è prezioso ai suoi occhi, eppure rimaniamo pur sempre delle creature. La scienza è sì importante e preziosa, ma è limitata, non può risolvere tutti i nostri perché. La vulnerabilità e la fragilità fanno parte della vita, non sono una anomalia, ma al contrario, sono la normalità: occorre imparare ad accettarla, anzi a convivere con essa. In questo senso a essere anomala, sarebbe piuttosto la perfezione. La vulnerabilità non sta solo nell’uomo singolo, in questo periodo si è fatta evidente la vulnerabilità totale di un mondo globale.
2. Come affronTare queSTa CriSi? Non isolandosi, ma diventando sempre più solidali gli uni con gli altri. Non possiamo andare avanti ciascuno per
conto suo, ma solo insieme. Ci si salva insieme. Ciò implica il passaggio dal nostro individualismo (a volte molto esasperato!) rifugiati nel privato, all’apertura permanente sugli altri. Sottolineo permanente. Vuol dire che la scelta del prendersi cura degli altri non è una semplice buona azione, da fare quando se ne ha voglia o una volta ogni tanto… Da qui si comprende che l’uomo è fatto per la comunione, perché l’uomo è per natura un essere relazionale, creato a immagine della Trinità.

3. CoSa Vediamo aTTorno a noi, olTre a TanTa deSolazione? Ci siamo accorti che molte persone danno prova di solidarietà e di un amore capace di sacrificio. Tanti gesti di servizio verso chi ha bisogno, anche da persone che non hanno motivazioni religiose, così da far scoprire dove sta la vera grandezza. “La vita non serve se non si serve”. La fraternità è la condizione necessaria per vivere la nostra umanità in pienezza. Lo dimostrano i tanti gesti di solidarietà che si moltiplicano in questo periodo a servizio degli ammalati, delle persone anziane e sole: dall’impegno eroico dei medici, degli infermieri, dei volontari del Servizio Civile, alle persone che organizzano collette per sostenere le spese negli ospedali, in quanti sono vicini a chi è solo, a chi è povero, a chi è debole, raggiunti nei modi possibili, magari portando loro regolarmente il cibo necessario. In questi giorni “vengono alla luce i veri eroi: non sono quelli che hanno fama, soldi e successo, ma quelli che danno se stessi per servire
gli altri”(Papa Francesco, nella Messa della domenica delle Palme).
4. doV’è dio? In questi giorni riscopriamo il calore della vicinanza di Dio, umile e discreto, che cammina con noi, non ci abbandona. Spero che sappiate trovare il tempo necessario da dedicare alla preghiera e che abbiate scoperto, avendolo sperimentato, che cosa significa che la famiglia è una Chiesa domestica. La nostra società ha voluto escludere la presenza di Dio nella storia perché riteneva di poterne fare a meno. Oggi avvertiamo, da parte di tutti, un bisogno di trascendenza che rende l’uomo sacerdote del creato, interprete della lode che sale incessantemente al Dio amore, al Dio della vita, amico degli uomini. Oggi ci rendiamo conto che il senso religioso fa parte del dna dell’uomo. Non possiamo farne a meno. Non dimentichiamo che per noi cristiani la prima mossa la fa Dio. è lui che ci viene incontro per primo e stabilisce con noi un’alleanza. è il Dio rivelato in Gesù Cristo, il quale è estremamente vicino a noi, anche se allo stesso tempo ci trascende. è Lui che ha dato la vita per noi, ci ha servito gratuitamente perché ci ha amati per primo. Non ha sbaragliato il male che si abbatteva su di Lui, ma ha sorretto la sua sofferenza perché il nostro male fosse vinto solo con il bene, perché fosse attraversato fino in fondo dall’amore.
5. CoSa Può fare la CHieSa denTro queSTa SiTuazione? Non deve rimanere in uno splendido isolamento dal mondo, ma portare aiuto là dove le persone si trovano e sono fisicamente e spiritualmente afflitte, in modo tale da incontrare il Signore dentro i tanti feriti con cui oggi abbiamo a che fare. Impegniamoci insieme per fare della nostra Chiesa un “ospedale da campo” che svolga un ruolo diagnostico (= che sa identificare cioè i segni dei tempi), un ruolo preventivo (= che sa creare un “sistema immune” in una società in cui dilagano, oltre il coronavirus, anche i virus della paura, dell’odio, del populismo e del nazionalismo, e un ruolo da convalescenziario (= che sa superare i traumi del passato con il perdono). Ciò implica un radicale passaggio da uno statico “essere già cristiani” a un dinamico “divenire cristiani”. Le chiese vuote sono un segno e una sfida: Cristo è alla porta e bussa, non per entrare, ma per uscire fuori per la sua missione: “per illuminare quelli che stanno nelle tenebre e nell’ombra della morte e dirigere i nostri passi sulla via della pace” (Lc 1,79). Costruiamo insieme una “Chiesa in uscita”!

+ OSCAR, Vescovo

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