Quaresima 2019:
testimoni dell’amore più grande

Segno di Croce

Dal Vangelo di Matteo 20, 17-28
In quel tempo, mentre saliva a Gerusalemme, Gesù prese in disparte i dodici discepoli e lungo il cammino disse loro: «Ecco, noi saliamo a Gerusalemme e il Figlio dell’uomo sarà consegnato ai capi dei sacerdoti e agli scribi; lo condanneranno a morte e lo consegneranno ai pagani perché venga deriso e flagellato e crocifisso, e il terzo giorno risorgerà».

Padre nostro

Preghiera:

Siamo figli di Dio.
Il nostro giocare in piccolo non serve al mondo.
Siamo nati per rendere manifesta
la gloria di Dio che è dentro di noi.
E quando permettiamo alla nostra luce
di risplendere, inconsapevolmente diamo
agli altri la possibilità di fare lo stesso.
E quando ci liberiamo dalle nostre paure,
la nostra presenza
automaticamente libera gli altri.
Amen.

OGGI

B. Vincenzo (Kolë) Prennushi (+1949), francescano albanese, arcivescovo di Durazzo, martirizzato dai comunisti in Albania assieme ad altri 37 martiri, beatificati a Scutari nel 2016. Il Beato Kolë venne incarcerato in una cella di 30 per 50 metri quadrati circa, con altri prigionieri, fu calunniato pubblicamente e condannato ai lavori forzati per vent’anni. Non fece in tempo a portare a termine la pena comminata perché morì il 19 marzo del 1949 a causa delle fatiche, delle terribili torture inflittegli e dei problemi cardiaci. Arshi Pipa, scrittore e saggista, incarcerato con il Vescovo, racconterà i supplizi che il prelato dovette subire, fra cui l’essere picchiato con spranghe di legno, oppure l’essere appeso, legato mani e piedi, a un gancio, per venire tolto solo dopo lo svenimento.

Testimoni dell’Amore, annunciamo il Suo Regno

Scrivo da Amman in Giordania. Sono alla penultima tappa di un viaggio che mi ha portato prima in Eritrea e ora qui, passando per il Cairo. Il mio servizio attuale alla missione mi chiede di fare viaggi come questo due o tre volte all’anno. Quest’ultimo viaggio mi ha messo in contatto con una grande varietà di persone e culture. La scorsa settimana in Eritrea, a Dekamhere, dopo la celebrazione della Messa per la festa patronale, mi sono trovato a pranzare con il vescovo copto-cattolico locale, i sacerdoti ortodossi e alcuni notabili della comunità musulmana e una miriade di altre persone. Tutti di fronte alla stessa tavola.
Oggi sono andato a visitare l’Ospedale italiano di Karak gestito dalle missionarie comboniane. In questa località a circa cento chilometri da Amman, le suore curano persone del luogo, beduini, rifugiati siriani, iracheni, turcomanni e via di seguito. Un ospedale minuscolo (50 posti letto) dove però si trovano molte specialità essenziali con una preoccupazione: assicurare le cure mediche anche a chi non può permettersele.
Con il mio buon senso, mi chiedevo come questo fosse possibile e sostenibile. Ma gli occhi di chi me lo raccontava davano ampio credito al fatto che il miracolo avviene e continua ad avvenire.
Ho citato questi due episodi recenti e per nulla isolati, perché mi hanno fatto molto riflettere sulla vocazione a cui il Signore mi ha chiamato, su quello che in essa mi ha attratto. Con la consapevolezza di questo momento, mi sembra di poter dire che è stata la prospettiva di camminare a cavallo tra il possibile e l’impossibile che accade, come a Karak nella gratuità; di trovarmi esposto senza paura e con meraviglia ad una diversità affascinante e avvincente, come a Dekamhere.
Nel cuore di tutti a qualsiasi latitudine e nelle situazioni diverse ho sempre trovato un unico grande desiderio di felicità e Qualcuno questo desiderio lo ha conosciuto da lontano, lo ha amato
ed incontrato. Poi ha chiesto ad alcuni di raccontarlo a tutti e mentre lo raccontiamo ci rendiamo conto che veniamo liberati e che la nostra salvezza personale diventa una sola cosa con la
salvezza di tutti.

Padre Claudio Lurati
Missionario Comboniano

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