S. Messa suffragio per don Roberto Malgesini

Cari fratelli e sorelle amati dal Signore:

tutti noi qui presenti abbiamo avvertito il desiderio profondo di riunirci in questa cattedrale, quale sede più idonea perché la nostra Comunità, con un cuor solo, possa esprimere i sentimenti più profondi del cuore in questo momento di dolore e insieme di consolazione.

La cattedrale è per tutti la sede più idonea per convergere nei momenti lieti e tristi e celebrare insieme ogni stagione della vita.

Come credenti, oggi, sia pure con le lacrime agli occhi, mentre affidiamo al Padre il nostro fratello don Roberto, celebriamo la vittoria di Cristo sul male e sulla morte e quindi innalziamo al nostro Dio un inno di lode e di ringraziamento. Perciò osiamo cantare l’alleluia!

Vi sono grato per la vostra presenza: a partire da una rappresentanza nutrita dei poveri, quelli che don Roberto ha seguito con amore e sollecitudine, a cui abbiamo voluto assegnare uno spazio privilegiato, per ricordarci che nel Popolo di Dio i poveri devono occupare un posto previlegiato, dal momento che Dio li porta al centro del suo cuore (cfr EG 197).

Saluto e ringrazio i volontari, soprattutto i giovani, che si sono appassionati seguendo quotidianamente don Roberto nella nostra Città mentre al mattino andava incontro ai senza dimora e che intendono proseguire il loro servizio gratuito, come preziosa eredità di don Roberto.

Un grazie pure alle autorità civili e militari, ai diaconi e ai numerosi presbiteri presenti, fino ai vescovi e al cardinale, che coordina nel mondo la carità del Papa. Ecco evidenziata la “piramide rovesciata”, di cui ci parla papa Francesco!

Un cordiale e affettuoso abbraccio soprattutto ai familiari di don Roberto, in modo speciale alla mamma e al papà, ai suoi fratelli con le loro rispettive famiglie.

Per rispetto alle norme attuali di prevenzione dalla pandemia, visto il numero chiuso della cattedrale, vi sono molte persone distribuite nelle piazze adiacenti. Un saluto e un grazie anche ad esse, insieme a chi ci sta seguendo mediante la televisione o via streaming.

Condividiamo il dolore per la tragica morte di don Roberto, ma nello stesso tempo ci rendiamo conto che il suo sacrificio d’amore spalanca alla Chiesa e a tutta la società la possibilità di una straordinaria, inimmaginabile fecondità, che tocca a noi tutti però sviluppare con determinato coraggio evangelico, perché l’esempio di don Roberto non sia vano!

Con la vittoria di Cristo, di cui facciamo memoria in questa Eucaristia, la morte è sconfitta, non ha l’ultima parola. È inaugurata un’aurora di vita, che fa sperare in una splendida fioritura, a vantaggio del mondo intero.

I “cieli nuovi e la terra nuova”, annunciati nel libro dell’Apocalisse, capovolgono la visione abitudinaria del mondo vecchio, fondato sulla violenza e sulla ricchezza, sul prevalere del potente sul debole, sul predominio dei più astuti. Nei cieli nuovi e nella terra nuova vince la debolezza dell’amore, che sembra soffocato e che invece irrompe con una vitalità sempre nuova, perché dà spazio a tutti, fa ripartire il mondo a partire dagli ultimi, generando così l’auspicata “cultura della misericordia”.

E’ la conseguenza del chicco di grano, di evangelica memoria, che caduto in terra muore e produce molto frutto. È il ripetersi della medesima logica che da sempre si sviluppa nella storia della Chiesa, lungo i secoli, così che i suoi martiri diventano segno di una eterna, rinnovata giovinezza.

Il sacrificio di don Roberto, martire della carità e della misericordia, è l’ultimo anello di una lunga catena di miti testimoni del Signore, appassionati annunciatori del Vangelo a servizio della dignità di ogni persona, che riempiono di luce il cammino della nostra vita, ma anche ci interpellano a fondo e ci impegnano a proseguirne l’azione.

Voglio ricordare per nome alcuni dei martiri, almeno della Chiesa italiana, a partire dal cremasco a me caro, da poco beatificato, padre Alfredo Cremonesi, ma anche da altri sacerdoti e laici, martirizzati più recentemente: dal beato don Pino Puglisi nel 1993 a Palermo, (che ho conosciuto personalmente), da don Giuseppe Diana nel 1994, ucciso dalla camorra a Casal di Principe, dalla laica Annalena Tonelli, uccisa nel 2003 in Somalia. Faccio memoria anche del servo di Dio don Daniele Badiali di Faenza, missionario in Perù, nel 1997, come il nostro giovane Giulio Rocca (di Isolaccia) nel 1992, entrambi dell’Operazione Mato Grosso. Un plauso al nostro amato don Renzo Beretta, ucciso nel 1999 a Ponte Chiasso di Como e alla nostra suor Maria Laura Mainetti, che sarà beatificata il prossimo 6 giugno a Chiavenna. “Chiesa di Cristo, il sacrificio dei martiri ti onora!”

In questi giorni mi hanno raggiunto molti vescovi italiani che hanno condiviso il nostro dolore, e insieme ci hanno espresso la solidarietà delle loro Chiese, uniti nell’ammirazione per questo nostro umile fratello sacerdote, che papa Francesco ha voluto ricordare mercoledì scorso nell’udienza generale. La stessa presenza dell’elemosiniere del Papa, mons. KONRAD KRAJESKY, testimonia la sua cordiale e paterna vicinanza.

Lasciamo ora che ci possa raggiungere la Parola di Dio, quella che interpreta da vicino la storia di don Roberto e la sua testimonianza di fede, il suo stile di sapore evangelico, quello speciale “tocco di delicatezza” con cui serviva i poveri ogni giorno, con una serenità e una semplicità davvero invidiabile.

Abbiamo ascoltato, nella seconda lettura, che “La carità è magnanima, benevola è la carità, non è invidiosa, non si vanta, non si gonfia di orgoglio, non manca di rispetto, non cerca il proprio interesse, non si adira, non tiene conto del male ricevuto, non gode dell’ingiustizia, ma si rallegra della verità. Tutto scusa, tutto crede, tutto spera, tutto sopporta“. Come non pensare immediatamente allo stile mite e riservato di don Roberto, al suo impegno quotidiano nel prendersi cura degli ultimi, dei carcerati, dei senza tetto, delle donne della tratta, dei profughi, svolto però senza clamore, con una tranquillità disarmante e senza pretendere nemmeno di essere compreso da tutti?

Don Roberto manteneva i piedi per terra, ma quotidianamente alimentava la sua speranza con la fedeltà nella preghiera, a cui dava lungo spazio prima di iniziare il suo servizio. Possedeva uno sguardo contemplativo, con cui sapeva intravvedere i “cieli nuovi e la terra nuova” promessi dall’albero della croce, quell’albero di vita, offerto il mattino di Pasqua, dall’Agnello ferito e vincitore, il risorto Signore Gesù.

Ecco il segreto della sua vita consumata fino al dono totale di sé, ecco spiegato il suo sorriso che affascinava, stupiva e interrogava quanti lo incontravano. La gioia è l’irresistibile testimonianza della presenza e della forza di Dio nel cuore dei suoi amici, proprio come recita una preghiera della liturgia ambrosiana: “Renderò evidente la mia presenza nella letizia del loro cuore“.

In questi giorni è nata, infine, nel cuore di molti, un’ultima domanda: a che serve il sacrificio di don Roberto? Vale proprio la pena la sua bontà caritatevole? La risposta viene dal Vangelo che è stato solennemente proclamato. “Siate figli del Padre vostro che è nei cieli; egli fa sorgere il suo sole sui cattivi e sui buoni e fa piovere sui giusti e sugli ingiusti. Infatti, se amate quelli che vi amano, quale ricompensa ne avete? Non fanno così anche i pubblicani? Che cosa fate di straordinario? Voi dunque siate perfetti come è perfetto il Padre vostro celeste”. Don Roberto ci ha insegnato a mettere i poveri al centro delle nostre attenzioni e delle nostre cure, da qui la necessità di una presenza d’amore verso tutti, senza attendersi ringraziamenti o riconoscimenti umani, in piena gratuità. Si tratta di una strada di guarigione dal nostro cuore ferito dal peccato, per assomigliare al Padre che è perfetto. Egli non rinnega mai la sua paternità. Da qui l’invito a pregare perfino per coloro che ci fanno del male.

Ecco perché don Roberto non è solo un “martire della carità”, ma è anche un “martire della misericordia”. La carità e l’amore si donano, ma è proprio della misericordia andare oltre, fino a spogliarsi di sé, farsi piccola e umiliarsi, facendosi debole con i deboli e povera con i poveri, sull’esempio di Gesù, che da ricco che era si è fatto povero per noi, per arricchirci con la sua povertà. Per questo la misericordia è vulnerabile e per questo il male alza continuamente contro di lei il suo calcagno, come fece contro il Figlio di Dio.

Dio non vuole il male, è il male invece, che rifiutando la misericordia, si scaglia contro di essa. Ancora una volta, attraverso il martirio di don Roberto, noi possiamo contemplare e comprendere che cosa significa che Dio è amore, carità e misericordia. Egli è amore in se stesso, carità che si dona, misericordia che si spoglia e si umilia.

Il Signore conceda a noi tutti di continuare, con rinnovato impegno, l’opera di misericordia che don Roberto ci ha abbondantemente testimoniato con la sua vita.

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