Solennita’del S. Natale – Te Deum di ringraziamento

 Un altro anno è compiuto, uno nuovo è alle porte. Per un cristiano tutto è nelle mani di Dio, che attraverso la signoria di Cristo risorto guida efficacemente la storia e la conduce a pienezza.  Da qui il nostro umile ringraziamento per i benefici ricevuti nell’anno che si chiude.
Contemporaneamente, però, tutto è affidato anche alle nostre mani, alla nostra libertà, alla responsabilità e alla saggezza delle nostre scelte, essendo noi uomini artefici del nostro futuro, così come del creato,  affidatoci da Dio quali custodi e non certo padroni.

Le nostre azioni passate ci seguono, ci aprono strade nuove o le ostruiscono. Noi paghiamo lo scotto delle nostre paure, delle nostre difese, delle nostre prevenzioni. Nello stesso tempo non cessiamo di reinventarci, di aprirci a nuove mete, di tentare altre possibili sviluppi, in un clima che eviti tensioni e contrapposizioni, solo protesi nell’interesse del bene comune.

Noi siamo anche debitori di quanti, nel tempo, ci hanno preparato, a loro volta, la casa comune che è il nostro mondo. Anche solo osservando la nostra Cattedrale, soprattutto l’altare, di cui è ricorso quest’anno il 700^ anniversario della sua consacrazione, ci rendiamo conto della ricchezza che ci è stata donata. A loro volta, i nostri figli saranno determinati dall’impegno o meno con cui noi, in questa nostra precisa epoca della storia, avremo creato le condizioni per un loro futuro.

Siamo tutti coinvolti in una medesima avventura, affascinante, da una parte, ma, dall’altra, anche piena di enigmi. Non possiamo permetterci di voltarci dall’altra parte, come se niente dipendesse da noi, come se le difficoltà, tuttora persistenti, fossero causate solo dagli altri; non possiamo ritirarci nel nostro ristretto orizzonte, dove tutto funzionerebbe secondo la nostra unica prospettiva. Non è più possibile delegare ad altri i doveri e le responsabilità di ciascuno. A tutti il compito di partecipare, di prendere l’iniziativa, di aprirsi al futuro da persone coinvolte e non solo da spettatori. Solo lavorando insieme possiamo contribuire efficacemente alle soluzioni che affliggono l’umanità e che rendono la nostra società uno spazio accogliente e ospitale.

Dobbiamo fare i conti, piuttosto, con la realtà complessa e articolata, che ci supera, che ci conduce al di là dei nostri confini, che ci dischiude nuovi orizzonti, imparando a convivere, qui nella nostra terra, con una cultura pluralista, frutto della presenza di persone provenienti da altre parti del mondo. Le persone, sebbene diverse da noi, non possono essere ritenute delle minacce o nemici da temere, ma devono essere ospitate come fratelli in umanità.

Il nostro compito consiste nel riflettere sul nostro stile di vita e i nostri ideali, riconoscere i valori fondamentali e ineludibili, che promuovono il bene dei singoli e insieme il bene comune, e nello stesso tempo, imparare a chiamare per nome ciò che condiziona l’uomo, lo degrada e gli fa rinunciare alla sua dignità regale, che deriva dalla comune appartenenza alla famiglia dei figli di Dio.

Non siamo figli unici, ma membri di un vasto mondo articolato, chiamati a vivere la nostra comune umanità dentro il nostro territorio. Il mio ministero di comunione e di sintesi, mi aiuta a tenere aperti gli occhi ed accorgermi dei tanti casi che mi vengono presentati e che a volte mi trovano incapace di soluzioni a breve scadenza.

Penso alla tante famiglie divise, dove non c’è armonia, né intesa tra marito e moglie, ma ostilità e a volte anche violenza, alla incapacità di dialogo  tra genitori e figli, ai giovani senza prospettive di lavoro, alle tante persone vittime delle varie forme di dipendenze, alcune delle quali frutto del troppo progresso. Penso alla solitudine degli anziani, lasciati soli dai propri figli, a quanti, non più giovani, hanno perso ogni prospettiva di lavoro e hanno vergogna di confidare ai loro figli la loro umiliante situazione, tentando anche, a volte, di togliersi la vita.

Penso ai profughi che ospitiamo, i quali hanno lasciato le loro terre d’ origine, fuggendo dalla guerra, persecuzioni e degrado ambientale e altre forme di violenza organizzata. Accogliere queste persone non basta, occorre favorirne l’ integrazione, permettendo che essi partecipino pienamente alla vita della nostra società .

Assieme a queste povertà materiali, ne esistono però altrettante, a livello spirituale, non abbastanza sottolineate, e più gravose ancora, perché tolgono la pace, non favoriscono rapporti interpersonali significativi, condannano l’ uomo a vivere una sola dimensione: un benessere materiale, senza respiro d’anima, alla ricerca di gratificazioni immediate. Quante persone snaturano gli avvenimenti più importanti della vita, come  il nascere o  il morire, privano i legami affettivi di stabilità, coerente e fedele, fondano tutto sull’incertezza del provvisorio, o su gioie apparenti, che non sono altro che evasioni dagli impegni della storia.
Se si toglie alla vita la sua dimensione trascendente, non c’è più spazio per Dio, ma anche per le persone, ridotte a semplici concorrenti, esseri anonimi e senza volto, invece che fratelli.
Le speranze che il mondo consumista di oggi offre ai giovani sono troppo piccole per riempire il cuore degli esseri umani, assetati di infinito.

Davanti a questi esempi di povertà materiale e immateriale, vogliamo tutti sentirci coinvolti e sostenerci reciprocamente, in un comune impegno per dare un’anima alla società, perché sia “a misura d’uomo” e alle persone la garanzia per una vita piena, intensa e felice.

La comunità cristiana, se vuol offrire un aiuto concreto alla società e presentare un’ immagine di Chiesa “esperta in umanità”, nel tentativo di rendere il mondo più umano, dovrà  favorire sempre più l’incontro con le istituzioni civili, con gli organismi di partecipazione, per costruire e sviluppare con essi  una cultura fondata sulla misericordia, mediante delle scelte essenziali e significative, che il prossimo Sinodo diocesano potrà proporre e favorire.
Vogliamo partecipare alla costruzione di una cultura fondata sulla misericordia, in cui nessuno guarda all’altro con indifferenza, né gira lo sguardo quando vede la sofferenza dei fratelli.

Sempre più comprendiamo come la Chiesa debba mettersi a servizio del mondo, portando un messaggio di speranza, soprattutto a quella parte di umanità ferita, dolorante, che ha bisogno di compassione e di aiuto per ritrovare se stessa, senza sentirsi giudicata, ma piuttosto accolta e sostenuta da una comunità cristiana che si presenta “col volto di mamma”, come ha auspicato papa Francesco. La fede in Cristo rende la persona libera, piena di gioia e capace di compassione.

Mi è caro ricordare ora uno dei prossimi appuntamenti che coinvolgerà anche la Chiesa di Como e la società civile, ossia la beatificazione a Vigevano, il prossimo 3 febbraio, di Teresio Olivelli (1916-1945),  nativo di Bellagio, membro attivo dell’Azione Cattolica, rettore del collegio universitario Ghislieri di Pavia, alpino nella campagna di Russia, membro della Resistenza e infine internato in un campo di concentramento nazista, in cui offrì la sua vita per difendere un suo compagno di prigionia. A buon diritto, il papa S. Giovanni Paolo II definì  la sua morte “simile a quella di S. Massimiliano Kolbe”. I suoi gesti eroici non furono improvvisati, ma frutto della sua paziente formazione, della abituale intimità con Dio e con l’esercizio quotidiano e feriale della carità.

Non posso poi tralasciare un appello che mi sembra importante e che deve interessare tutti. Nel prossimo mese di marzo saremo chiamati alle urne.
Siamo in un periodo in cui i partiti e gli uomini politici hanno generato delusione e lontananza dall’impegno politico. Il malcontento e la diffidenza verso i leaders politici si sono approfonditi a causa di aspettative non soddisfatte e problemi non risolti. L’astenersi dal voto, a cui tutti invece siamo obbligati, non deve essere  espressione di questa delusione. Non deve essere il partito dei rinunciatari a prevalere, e nemmeno i leaders populisti possono assumere le responsabilità di governo sfruttando le rabbie e le paure della gente, a causa di promesse di cambiamento seducenti, quanto irrealistiche. Ciascuno in coscienza si orienti verso quei candidati che presentano programmi che facilitino il bene possibile, che tutelino la dignità e il rispetto delle vita delle persone, che facilitino la solidarietà  e non si limitino a promesse aleatorie. Mancare al voto è da considerarsi un vero e proprio peccato di omissione, che non fa altro se non delegare in bianco, senza compromettersi responsabilmente.

Una iniziativa che mi sento di raccomandare alla comunità civile è quella di  favorire la presentazione della prima parte della Costituzione italiana, nel settantesimo della sua promulgazione, dove sono enumerati i fondamentali principi, diritti e doveri per una società libera e democratica. In un epoca in cui si sono smarriti gli ideali del vivere civile, è urgente aiutare le persone e la società a riscoprire l’essenziale di una civiltà veramente umana.
Potrebbero nascere sani dibattiti da parte delle grandi famiglie culturali ideologiche, che insieme hanno redatto a suo tempo la Costituzione, e organizzare interventi educativi anche nelle nostre scuole superiori,  per aiutare i giovani ad attualizzare quei principi fondativi, base del nostro vivere civile.

A conclusione, auguro a tutti che Gesù, nato nelle nostre vite, possa essere donato, a nostra volta, a quanti non hanno mai sperimentato amore e gesti di tenerezza, poiché tutti hanno diritto di toccare con mano la grazia di Dio, di cui noi siamo stati partecipi.

 

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