Tracce per il cammino

È stato il primo incontro «in presenza» del presbiterio diocesano dopo la gelata del Covid-19. In Seminario, rigorosamente nell’osservanza delle norme di sicurezza (auto-certificazione, mascherina, distanziamento). Non
un’assemblea generale di tutti i preti (prevista – salvo diversa disposizione – per martedì 1 dicembre a Morbegno), ma solo dei Vicari Foranei, dei Delegati vescovili e dei Direttori degli Uffici diocesani (oltre naturalmente il Vescovo e il Consiglio Episcopale). I lavori hanno occupato l’intera giornata di lunedì 7 settembre. Si è partiti da una relazione generale («La Chiesa al tempo del coronavirus. Spunti per un tentativo di discernimento»), che aveva
lo scopo di puntualizzare alcune riflessioni emerse in questi mesi di lockdown sull’identità e il ruolo della Chiesa. Il
Covid-19 ha svolto la funzione – per così dire – dell’enzima acceleratore, facendo affiorare con chiarezza alcune dinamiche peraltro già da tempo avviate: la perduta centralità della Chiesa come istituzione nel panorama del mondo post-moderno, la centralità della scienza e della tecnologia, i nuovi scenari del «villaggio globale» e
della custodia del creato in pericolo. Non sempre la risposta della Chiesa si è rivelata all’altezza, fra improvvisazioni mediatiche sulla rete e meta-messaggi (per esempio di indole sacralista) fuori dal coro. Anzi,
la discussione fra i Vicari Foranei ha fatto emergere come questione seria e urgente l’eccessiva polarizzazione
di opinioni che si riscontra oggi nella Chiesa, fra i preti e nel popolo di Dio.
Altra cosa rispetto a una sana e cordiale dialettica interna. Nello stesso tempo, però, i mesi del coronavirus hanno fatto sprigionare diversi spiragli positivi per la vita della Chiesa: la riscoperta della Parola di Dio (essendo impedite le celebrazioni eucaristiche in forma pubblica), il sacerdozio battesimale di molti fedeli laici, la famiglia come cellula fondamentale della socialità umana e della generazione della fede («piccola Chiesa»). Tutti spunti per i quali
è evidente che la «ripartenza» non può essere semplicemente un «ritorno» tale e quale a ciò che si faceva prima della pandemia. Proprio per tentare di dare corpo a questo «non sarà più come prima», i Vicari Foranei si sono confrontati su queste tre tracce di riflessione.
PRESBITERI E COMUNITA’ – Intercessori nella preghiera e annunciatori della Parola di Dio (anche attraverso i nuovi
mezzi di comunicazione sociale). Sono le due dimensioni della vita presbiterale emerse con forza durante il lockdown. Effetto di un «dimagrimento» non voluto né cercato della vita presbiterale, ma per molti versi salutare e provvidenziale. Possono costituire un punto di partenza per quel «ritorno all’essenziale» della vita presbiterale, tante volte invocato, ma quasi mai realizzato, incalzati come siamo dai molteplici impegni e dalle svariate incombenze (anche di carattere amministrativo e gestionale). Senza dimenticare altre dimensioni costitutive
del presbitero: la presidenza eucaristica, la convocazione della comunità, la ricerca della pecorella smarrita…
FAMIGLIA «PICCOLA CHIESA» – Nella stagione del «lockdown» la famiglia – come istituzione naturale, che trova compimento nel sacramento del matrimonio – si è confermata, pur fra luci ed ombre, la cellula elementare della relazionalità umana, il primo presidio della solidarietà e della cura reciproca, e anche il nucleo basico del culto spirituale (Rom 12,1ss.), dell’evangelizzazione e della trasmissione della fede. Una dimensione che non deve andare smarrita con il ritorno alla normalità, ma che deve al contrario essere valorizzata e potenziata dalla pastorale ordinaria. Va sostenuta la preghiera fatta in famiglia e dalla famiglia, come pure il suo ruolo generativo nel cammino di fede di genitori e figli.
DISCERNIMENTI DI SPERANZA CRISTIANA – Nella stagione del «lockdown» è emersa la necessità di un discernimento sapienziale che sappia cogliere negli eventi della vita – anche in quelli dolorosi e apparentemente senza senso – la novità insospettata del dono di Dio, il kairòs della sua visita. Perché nella prospettiva pasquale cristiana non è affatto scontato che «tutto andrà bene», mentre certamente «tutto coopera al bene di coloro che sono amati da Dio» (Rom 8,28). In un mondo fortemente tecnologizzato e impoverito sotto il profilo del senso, si
chiede alla Chiesa di essere sempre più «esperta di umanità»: non solo nel terreno accidentato del dolore e della morte, ma soprattutto in quello della «vita buona» che attraversa le varie esperienze umane, dalla condivisione alla gioia, dalla povertà alla fragilità, dalla memoria del passato alla fiducia nel futuro.

Il confronto su questi temi – si sta  lavorando all’elaborazione di altrettante schede da portare nei vicariati, come
frutto del confronto portato avanti – proseguirà nelle prossime settimane a livello di vicariato. Con un nodo previo
da sciogliere: come questo confronto si intreccia e si rapporta con i lavori del Sinodo, luogo per eccellenza del
discernimento.
don ANGELO RIVA

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