Como, Chiesa di S. Rocco, 15 settembre 2025

Anniversario don Roberto Malgesini

L'omelia del Vescovo

Oggi è giorno di memoria, cinque anni dal sacrificio di don Roberto. Ho ancora incancellabile l’immagine della drammatica scena di don Roberto disteso a terra, sanguinante, appena deceduto, sul piazzale di s. Rocco, quando subito accorsi, alla notizia sconvolgente di ciò che era successo.

Da allora quel luogo è diventato una stazione di pellegrinaggio, un richiamo forte per tutti i cristiani su che cosa significa amare fino al dono supremo di sé. Abbiamo piantato una croce sul luogo del sacrificio di don Roberto ed è bello che per custodire la memoria e documentare la storia di quei tragici avvenimenti, questo luogo sia un punto obbligato perché eloquente, da offrire a tutti. Qui, infatti, sono accorsi in questi cinque anni tante persone, credenti e no, per ricordare, per meditare, per pregare, per convertirsi.

È stupefacente come il sacrificio di don Roberto, il ricordo della sua persona, si sia mantenuto vivo tra noi lungo questi cinque anni, fino al punto che la sua memoria si è divulgata in tutta l’intera nazione italiana e oltre i patrii confini.

Sono in tanti, infatti, a parlare di don Roberto, a ricordarlo con affetto e gratitudine, lui così schivo a parlare di sé, così lontano dal mettersi in mostra, ora è sulla bocca di tutti. È bello che il santo popolo di Dio, che ha un fiuto speciale, (sensus fidei) abbia fin da subito riconosciuto le sue virtù, a tal punto che don Roberto fa parte delle ricchezze della nostra Chiesa e del tesoro prezioso della nostra società comasca. È nel cuore di tutti noi, a tal punto che ho già chiesto al Dicastero dei Santi in Vaticano su come procedere alla sua beatificazione, proprio ora in cui sono scaduti i cinque anni previsti prima di dare inizio a un processo.

Siamo certi che don Roberto gode già fin d’ora la gioia della comunione con Dio e dei santi della Chiesa di lassù. Egli prega e veglia su tutti noi. Ne siamo tutti profondamente convinti. Non ha bisogno di ulteriori elogi. Piuttosto questo profondo legame che si è instaurato tra noi e don Roberto deve suscitare qualche sano interrogativo, che ci metta in discussione, sia a livello individuale, che come comunità cristiana e anche come comunità civile, perché siamo tutti interconnessi, responsabili e solidali gli uni verso gli altri.

Fare memoria di don Roberto ci invita a domandarci quanto la sua persona e il suo sacrificio influenzino di fatto la nostra vita, il nostro modo di pensare e di agire, quanto il ricordo di don Roberto ci costringa effettivamente a cambiare, cioè a convertirci.

È un esame di coscienza che ci scuote e che come pastore di questa Chiesa oso rivolgere a tutti in questa circostanza, dal momento che attraverso don Roberto Dio ci ha visitato, ci ha parlato, e continuamente ci interpella, fino ad inquietarci.

Come discepolo e amico di Gesù, don Roberto è stato innanzitutto, e in modo strutturale, un UOMO DI PREGHIERA. È la prima caratteristica da cui non si può prescindere se non si vuole ridurre quest’uomo a un semplice filantropo.

Posso attestare in verità, dal momento che l’ho conosciuto profondamente, che don Roberto pregava molto. Si trattava di una preghiera continua, non breve, piena di confidenza e di totale fiducia filiale nei confronti di Dio. Una preghiera con cui affidava al Signore quanti incontrava nel corso della giornata. Quella finestrella che da una sala della sua casa gli permetteva di guardare spesse volte e affettuosamente l’altare della chiesa di s. Rocco era per lui l’occasione di uno sguardo d’amore verso il tabernacolo, custodia di Gesù eucaristico.

Riconoscere don Roberto come uomo di preghiera ci obbliga a domandarci quanto noi di fatto ci dedichiamo ogni giorno e con costanza alla preghiera e questa sera egli ci invita di nuovo a vivere costantemente questa indispensabile relazione con Dio.

La preghiera, poi, ha sempre un benefico effetto, anche se al momento è impercettibile, a tal punto che qualcuno si domanda se abbia senso pregare e pregare a lungo, come appunto era solito fare don Roberto.

La preghiera ci trasforma perché è generata dallo Spirito Santo, che ci rende miti. Don Roberto è stato un UOMO DI MITEZZA. Tutti se ne sono accorti e lo hanno riconosciuto tale per la sua semplicità accogliente, per il sorriso sempre sulle labbra, indicante una gioia interiore permanente, frutto della presenza dello Spirito santo, anche nei momenti di difficoltà. Mite nella sua disponibilità ad accogliere tutti, senza prevenzione di sorta, senza scegliere chi preferire, senza domandarsi se fosse opportuno o meno.

La mitezza di don Roberto ci costringe a domandarci se il suo esempio ci ha conquistato, se il ricordo della sua persona e della sua testimonianza non ci obbliga a rinunciare alle nostre facili reazioni aggressive, se rinunciamo a sottolineare solo il negativo, ossia ciò che non va. Don Roberto questa sera ci domanda se stiamo divenendo o meno persone positive, capaci di vedere il bene anche dentro le imperfezioni di ciascuno, solidali con tutti e ostinatamente capaci di promuovere relazioni fraterne.

Non basta ricordare don Roberto come un fratello amato. Sarebbe uno sfregio alla sua memoria se noi tutti, affascinati dalla personalità di don Roberto, non decidessimo di scegliere anche noi di diventare miti.

So bene che si tratta di una dura e costosa battaglia che dobbiamo intraprendere contro noi stessi, contro i nemici che abitano dentro di noi, ossia in primis il nostro orgoglio, l’istinto di prevalere sugli altri, la pretesa di avere sempre ragione e di giudicare severamente tutto e tutti, incapaci di dislogo, di riconoscere il tanto bene che circola, anche silenziosamente, attorno a noi ad opera di tanti nostri fratelli e sorelle.

Infine, vorrei ricordare don Roberto come un UOMO Di SPERANZA. In questo anno giubilare, abbiamo cercato di “mettere a fuoco” la speranza che va al di là del comune ottimismo, ma che è radicata nella certezza che Dio ci ama, è fedele alle sue promesse e non ci delude mai.

Così abbiamo cercato di individuare i segni di speranza che sono tra noi, le opere segno che con tanta generosità sono presenti con uomini e donne, credenti e non, che si prodigano in un servizio umile, ma costante, capaci di interpretare i segni di Dio dentro la nostra storia e di tradurli in scelte di vita.

Don Roberto iniziava la sua giornata con gesti semplici, ma eloquenti, distribuendo la colazione a tutti, augurando una giornata lieta, riconosceva ogni pestone importante e preziosa, chiunque fosse. Una modalità espressiva, quella di don Roberto, ammettiamolo, che ha generato non poche perplessità, anche dentro la comunità cristiana. Don Roberto ne era consapevole e ne soffriva in silenzio, con umiltà e pazienza. Pativa Interiormente, senza darlo a vedere. Eppure, andava avanti ostinatamente e molti giovani, che ricercano modalità concrete di vita vissuta, e non spiegazioni teoriche, proposte per una vita fondata su relazioni semplici e fraterne, ammirati, lo hanno seguito e continuano tuttora a proporre queste modalità espressive di rispetto, ma anche di vera amicizia. Don Roberto era capace di trasformare gesti semplici e umili quale l’offerta di un caffè e brioche in una occasione per generare solidarietà, per esprimere vicinanza, suscitare compassione, esprimere tenerezza. Gesti di cui noi tutti abbiamo bisogno per vivere una vita in unità tra noi e gustare i frutti di una umanità riconciliata, frutto della morte e della risurrezione di Cristo.

Non ci resta che domandarci se, al di là della ammirazione per questi gesti semplici e immediati, usati da don Roberto, anche noi siamo pronti a gettare, in piena gratuità, semi di speranza nella nostra società, sempre piena di fretta, fondata su relazioni anonime, sulla competitività e incapace di profondi rapporti personali. È quello che ci auguriamo, se vogliamo mantenere viva la memoria di don Roberto e riconoscerlo per quello che è, ossia un uomo di Dio.

Oscar card. Cantoni

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