5 Domenica di Pasqua – Anno A

Amate sorelle, amati fratelli,

mi è data di nuovo la felice opportunità di raggiungervi nelle vostre abitazioni. In queste domeniche mi auguro di aver intessuto con voi un legame di familiarità tale da sentirci tutti uniti, all’interno di un unico corpo ecclesiale e di aver contribuito a ravvivare il senso di appartenenza alla nostra comunità diocesana.

Vi offro ora alcuni punti di riflessione sulla Parola di Dio proclamata oggi, a partire dalla seconda lettura, dalla lettera di Pietro, che è una splendida catechesi battesimale.

Il brano può essere così riassunto: “Voi siete un popolo redento; annunziate le grandi opere del Signore, che vi ha chiamati dalle tenebre alla sua ammirabile luce”. E’ a causa di Cristo, la pietra viva che i costruttori hanno scartato, ma che è diventata testata d’angolo, che noi cristiani, attraverso il dono del Battesimo, siamo divenuti “stirpe eletta, sacerdozio regale, nazione santa”. Sono titoli questi a cui siamo poco abituati, ma che felicemente ci definiscono nella nostra dignità di figli di Dio chiamati, quale popolo sacerdotale, ad “offrire mediante Gesù Cristo, sacrifici spirituali graditi a Dio”.

Proprio perché parte di un popolo sacerdotale, ci viene chiesto di offrire a Dio, liberamente e con gioia, tutto noi stessi, le nostre fatiche quotidiane, il lavoro, il tempo, la preghiera personale e comunitaria, il nostro impegno per costruire un mondo più bello, più fraterno e solidale, proprio come piace a Dio. Ogni battezzato, quindi, è chiamato ad una vita santa, vissuta in conformità con la fede, in tutti gli ambiti della sua esistenza.

Immessi col dono dello Spirito Santo mediante il Battesimo nella grande famiglia dei figli di Dio che è la Chiesa, possiamo gridare: “Abbà, Padre!” attraverso Gesù che ci ha rivelato Dio. Sì, in Gesù noi possiamo vedere il Padre. Egli non è solo nei cieli, è vicinissimo, visibile, pienamente accostabile in Gesù.

A noi il compito di renderlo presente nel nostro mondo, a partire dai doni che ciascuno ha ricevuto e nella situazione storica in cui ci troviamo.

Come Gesù che nel Vangelo di oggi proclama: “chi ha visto me, ha visto il Padre”, così anche noi siamo chiamati a rivelare il volto misericordioso del Padre attraverso i gesti di una carità attiva, cioè lungo una vita che si dona e si spende, come il gesto eucaristico di Gesù. Non bastano le buone azioni, di tanto in tanto, e tanto meno solo le buone intenzioni. Le parole, poi, possono convincere, ma gli esempi trascinano.

A riguardo poi della carità verso gli altri vorrei ricordarvi che per i cristiani la carità non è mai un’opera di supplenza.

Cioè noi serviamo i fratelli, ci adoperiamo per venire in aiuto dei bisognosi, dei poveri e degli stranieri, non in sostituzione ad altri che sono inadempienti, fosse pure lo Stato, ma semplicemente perché ogni uomo è nostro fratello,”colui per il quale Cristo è morto” (Rom 14,15).

Sappiamo che la carità a servizio delle vecchie e delle crescenti nuove povertà si snoda lungo tutta la storia della Chiesa, fino ad oggi. L’opzione per gli ultimi, per quelli che la società scarta e getta via è la scelta che la Chiesa vuole rimarcare, non solo per contrastare il nuovo paganesimo individualista, ma soprattutto perché, come afferma Papa Francesco nella Evangelii Gaudium, l’opzione per i poveri è una categoria teologica, prima che culturale. Dio concede loro la sua prima misericordia (cfr EG 198).

Le esigenze storiche del momento sono le occasioni concrete nelle quali impegnarci. Esse ci stimolano a tenere gli occhi bene aperti per offrire al mondo l’immagine di una Chiesa misericordiosa, samaritana, che accoglie, che ha compassione di tutte le persone ferite, sole o rifiutate, chiunque siano (e che in questo tempo di pandemia emergono numerose e con maggiore frequenza!). Possiamo imitare la primitiva comunità cristiana, come abbiamo ascoltato nella prima lettura dagli Atti degli Apostoli, che ha trovato il modo di intervenire prontamente a vantaggio di chi allora si sentiva trascurato nella assistenza quotidiana, in quel caso le vedove.

Sono nati così i primi sette diaconi, (vengono citati per nome, a partire da Stefano, definito “uomo pieno di fede e di Spirito Santo” (At 6,5).

Si tratta di persone “segno”, non perché solo ai diaconi è affidato nella Chiesa il compito di servire, ma perché essi possano richiamare con il loro esempio, pieno di sollecitudine, tutto il popolo di Dio a vivere la propria vita secondo lo stile di Gesù, che è “venuto non per essere servito, ma per servire” (Mc 10, 45).

Ecco allora di nuovo riproposto il nostro impegno: siamo inviati a proclamare le opere ammirevoli di Chi ci ha chiamato dalle tenebre alla sua luce meravigliosa. Non occorre parlare direttamente di Dio a chi non lo conosce o addirittura lo nega o lo respinge.

Sono le nostre opere, lo stile del nostro impegno, la tenerezza che sappiamo manifestare verso coloro che incontriamo, frutto della fede in Dio, che devono talmente risplendere, così da stupire chi ci vede compierle, fino ad arrivare a domandarsi il perché di questi atteggiamenti, il perché del nostro impegno di servizio, anche quando non è gratificante o non è nemmeno riconosciuto.

Proprio come ha scritto s.Francesco di Sales: “Non parlare di Dio a chi non te lo chiede, ma vivi in modo tale che, prima o poi, te lo chieda!”(Lettere)

L’Eucaristia che celebriamo ci aiuti a imprimere attraverso il nostro impegno verso gli altri, a partire dal servizio umile in famiglia, il tocco squisito della stessa carità di Cristo, mite e compassionevole, che ci ha amato e ha consegnato tutto se stesso per noi (Gal 2,20).

 

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