Venerati confratelli nell’episcopato, cari fratelli sacerdoti e diaconi, membri tutti del popolo di Dio, uomini e donne, distinte autorità civili e militari.
Vi ringrazio vivamente della vostra presenza, espressione grande di vicinanza e di affetto nei miei confronti e di quanti con me celebrano il cinquantesimo di ordinazione sacerdotale. Ricordo con particolare stima mons. Diego Coletti, che celebra il suo sessantesimo, mentre vi invito tutti ad esultare con noi il Signore per la fedeltà del suo amore.
Egli ha guidato il corso degli avvenimenti così da permettere a ciascuno di mantenersi dediti al servizio sacerdotale lungo il corso della nostra vita, nei luoghi e nelle modalità a cui siamo stati destinati dalla Chiesa.
Siamo come tutti voi, battezzati, membri del popolo sacerdotale, regale e profetico che Dio si è acquistato per proclamare le opere ammirevoli di lui, chiamati dalle tenebre alla sua luce meravigliosa.
Siamo membri del gregge del Signore, come voi tutti, prima di essere pastori. A voi abbiamo dedicato tutto noi stessi, senza fare del dono ricevuto una sorte di privilegio, ma solo una occasione di servizio.
Siamo stati tutti chiamati dal Padrone della messe nelle prime ore del giorno a lavorare nella sua vigna. E lo lodiamo perché ci ha permesso di raggiungere una meta così significativa, senza tuttavia sentirci logorati dal peso dell’età e dalle fatiche della evangelizzazione.
Certo, a volte, siamo rimasti sorpresi e meravigliati dell’agire di Dio, come Maria e Giuseppe, quando hanno ritrovato Gesù nel tempio di Gerusalemme a colloquio con i maestri, mentre discuteva e li interrogava sulle cose del Padre suo. Il vangelo sottolinea che anch’essi facevano fatica a comprendere tutto ciò. Anche noi ci siamo dati ragione di certi fatti della vita e del loro senso, solo più tardi, alla luce di quanto il Signore ci ha fatto lentamente comprendere.
Cinquant’anni sono lunghi da narrare, ma vi assicuro che tratterò solo alcuni particolari, a partire da alcune domande: dopo cinquant’anni di ministero quale bilancio ne traete? Ne valeva proprio la pena? Se doveste ricominciare, accettereste ancora questa particolare chiamata del Signore, che vi ha impegnato tutta la vostra esistenza?
Sono interrogativi che i giovani mi rivolgono, spesso a “bruciapelo”, nel corso della visita pastorale, a cui cerco di rispondere in tutta verità, e così cerco di rispondere, anche a nome degli altri fratelli, presbiteri e vescovi.
- Siamo contenti di essere preti, siamo molto felici di aver consumato le nostre forze per il Signore Gesù, a servizio del suo popolo, soddisfatti di aver camminato insieme in una unità, lentamente raggiunta, dal momento che siamo tutti originali e unici. [Vi invitiamo tutti a gioire con noi e a benedire il Signore perché eterno è il suo amore.]
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Il Signore risorto non ci ha mai tradito, perché è fedele e non ritira la sua alleanza.
Ci è sempre stato vicino, in ogni situazione della vita, felice o avversa, nei momenti di tensione e anche di apparente fallimento. É stato il nostro compagno di viaggio e noi abbiamo vissuto sentendoci una cosa sola con Lui e con il suo popolo, in un amore sempre crescente, dal momento che Egli “ci ha chiamati amici“. Non ci siamo mai stancati di parlare di Lui, centro del nostro cuore, e ancora oggi cerchiamo di presentarlo con freschezza, come persone che lo seguono da vicino, con un amore sempre ravvivato. - Abbiamo sempre considerato la Chiesa quale nostra madre, che ci nutre e ci custodisce, e come sposa da proteggere con tenerezza, in un amore costante e fedele, anche nei momenti di prova, di fatica, di difficoltà. Siamo venuti incontro a quanto ci è stato richiesto, di volta in volta, senza badare troppo a noi stessi, ma fidandoci di chi ci ha inviato e di coloro con i quali abbiamo collaborato.
- Il tempo è corso veloce, tanto da stupirci di aver trascorso un periodo così lungo e intenso, a volte sofferto, eppur gioioso. Non è venuta meno la forza di ricominciare ogni mattina, di cercare nuove vie di evangelizzazione, di sperimentare progetti educativi per le diverse età, di inserirci in quel cammino di riforma per presentare Gesù al vivo per gli uomini di oggi, molto spesso stanchi e sfiniti, e preparare le strade perché ogni discepolo di Gesù possa trovare la sua forma originale per seguirlo e testimoniarlo nel suo ambiente sociale di vita.
- Abbiamo sperimentato nelle nostre Comunità cristiane un vero clima di famiglia, coinvolti nella costruzione di uno stile di fraternità che unisce, che conforta e che sostiene, che fa fatica, eppure prova a prendersi cura dei piccoli e dei poveri, degli emarginati e degli immigrati. Quindi abbiamo coltivato una ammirazione sincera verso tanti laici e laiche (che sono la maggioranza del popolo di Dio!) corresponsabili nell’impegno missionario, senza dichiararci padroni nei loro confronti, ma solo custodi. Abbiamo cercato di mostrare una sincera stima e fiducia tra noi presbiteri, piena unità con i membri della vita consacrata, attiva e contemplativa, ma anche un sincero legame di amicizia e di leale condivisione con i nostri vescovi e il santo Padre.
- Siamo venuti incontro e abbiamo cercato di essere vicini a quanti hanno sperimentato tante fatiche, hanno preso il coraggio a piene mani di confidarci grosse sofferenze, anche peccati non facili da riconoscere, difficoltà materiali e spirituali. Abbiamo condiviso, confortati dalla grazia dello Spirito, le aspirazioni di tante persone, le preoccupazioni di tanti genitori nella educazione dei loro figli, le difficoltà nel dialogo tra marito e moglie, le sconfitte e le cadute di chi ci ha narrato, con larga confidenza, i propri particolari stati d’animo. Abbiamo imparato ad essere misericordiosi, meno rigidi e più compassionevoli, come Gesù, che ha accolto tutti e ha aperto a ciascuno nuove vie di rigenerazione. Abbiamo cercato di dare speranza, aiutando quanti l’avevano perduta, promuovendo ciò che di positivo è presente in ciascuno. Anche noi, tuttavia, abbiamo sperimentato debolezze e fragilità, ma accettandoci imperfetti, non ci siamo mai dichiarati sconfitti, perché il Signore ci ha sempre preso per mano e risollevato.
- Abbiamo conosciuto persone almeno apparentemente impermeabili alla grazia, incapaci di lasciarsi scalfire dalle abbondanti occasioni in cui Dio ha tentato di ricominciare con loro. Ma è consolante aver sperimentato da vicino, nello stesso tempo, come Dio è stato capace di persistere nel suo amore, dal momento che Egli non si stanca mai di venire incontro ai suoi figli e sa inventare le modalità più opportune perché ciascuno possa ravvedersi e sperimentare la gioia di sentirsi amato, accolto, perdonato. Quanto stupore nel constatare fratelli e sorelle che si sono lasciati attrarre e conquistare dall’amore di Dio e hanno sperimentato la gioia di sentirsi suoi figli, e insieme, si sono sentiti tanto vicini e solidali con tutti, accomunati da una medesima umanità ferita. Con la passione ardente di partecipare alla costruzione responsabile non di una nuova Chiesa, ma di una Chiesa nuova, capace di raggiungere tante persone che ancora non conoscono Gesù e il suo vangelo e di parlare direttamente al loro cuore.
- Infine, abbiamo sperimentato la vicinanza affettuosa del popolo di Dio, che vuole bene ai suoi preti, che condivide le loro fatiche e non disdegna tuttavia di essere, verso ciascuno, una presenza stimolante e anche critica. È un servizio che il popolo di Dio offre ai suoi pastori, così da Impedirci di diventare ripetitivi, di mostrarci troppo sicuri di noi stessi e delle nostre vedute, capaci di rigenerarci continuamente alle sorgenti della salvezza e così essere persone positive, propositive e liete della letizia di Dio, fondati sulla salda roccia dell’ amore di Dio Trinità misericordia.
Ecco il ritratto di “uomini di Dio, ministri di speranza”, (almeno osiamo definirci tali, in tutta umiltà!), coscienti delle nostre povertà, ma anche stupiti di essere stati usati quali strumenti attivi della provvidenza di Dio per la formazione e la crescita del suo popolo. Non siamo perfetti, ma amici di Cristo, figli della sua dolcissima Madre Maria, fratelli tra di noi e ci impegniamo almeno per essere credibili.
Una vita così, semplice, intensa e bella, può essere di consolazione e di stimolo per tutto il popolo di Dio, ma anche un modello di vita per giovani che ancora credono che il ministero sacerdotale possa ancora riempire di gioia e di pienezza la loro intera esistenza.
Oscar card. Cantoni