Cosa impariamo dalla pandemia?

Il 2021 volge al termine, ma intanto si susseguono giorni difficili, nei quali tocchiamo con mano la nostra comune fragilità, mentre ci credevamo invulnerabili, data la potenza tecnologica e scientifica acquisita. La pandemia, purtroppo, non è finita: essa continua a mietere vittime e a generare un clima di inquietudine, in un orizzonte pieno di incertezza e di paura.

Penso ai colpiti dal Covid, ma anche alle famiglie, ai ragazzi e ai giovani, alle persone sole, agli anziani, ai disabili, ai senza fissa dimora. Costretti a vivere isolati, ci rendiamo conto che il vivere con gli altri è essenziale per la nostra vita.

Nello stesso tempo siamo certi che anche questo tempo e la storia di questo impegnativo periodo sono nelle salde mani di Dio, perciò da lui invochiamo aiuto e protezione. Egli ci accompagna e ci sostiene dentro questi eventi che stiamo attraversando, e crediamo che egli sa trasformare anche il male in occasione di bene, ma sta a noi comprenderne il messaggio e ricavarne utili insegnamenti.

Ecco perché, insieme al riconoscimento della situazione drammatica, in cui tutti siamo coinvolti, non è inutile domandarci cosa vuol dirci il Signore, che cosa stiamo imparando da questa lezione così severa, mentre ci è chiesto lo sforzo solidale meno gravoso, che è quello di vaccinarsi e di rispettare le indicazioni che ci vengono proposte.

Occorre infatti che impariamo a utilizzare la calamità della pandemia quale positivo appello di Dio a un grande cambiamento, ne riconosciamo un motivo favorevole alla conversione del cuore, prima ancora delle strutture.

La nostra commossa gratitudine va innanzitutto a quanti, nella nostra società, si prendono cura degli altri: gli uomini di scienza, gli operatori sanitari, il personale medico e infermieristico, i responsabili delle Comunità civili, i militari, i Vigili del fuoco, i membri della Protezione Civile, la Croce Rossa e le varie associazioni di Volontariato, le diverse comunità religiose: persone di cui spesso non conosciamo i nomi e i volti, ma solo i benefici che ci recano.

Nella maggior parte dei casi, gli operatori continuano ad impegnarsi non solo in un lavoro professionale coscienzioso di routine, ma per un movimento interiore, che li fa sentire fratelli e sorelle di quanti bisognano di cure, di vicinanza e anche di affetto.

La pandemia ci obbliga a rivalutare ciò che veramente conta e a vivere in un modo diverso. Dentro questa situazione, così poco rassicurante, invece di sentirci costretti a imposizioni non desiderate, occorre trovare la capacità di aprirci a una speranza responsabile.

Accettiamo quindi la sfida di assumere la crisi come “opportunità” concreta di grazia e di vita rinnovata, che ci invita a ripensare al nostro stile di vita e ai nostri sistemi economici e sociali. Una occasione, insomma, per uscirne migliori, se procederemo sulla strada del bene comune, della cura dei poveri e della difesa del creato.

Come sono vere e salutari le parole di papa Francesco: “Nessuno si salva da solo, ci si può salvare unicamente insieme” (enciclica Fratelli tutti, 32).

È questo il tempo favorevole per aprirci a nuove forme di vita personale, familiare, sociale.

Dentro un contesto di individualismo generalizzato, quale quello in cui vivevamo già prima della pandemia, potevamo correre tutti il serio pericolo di abituarci a vivere a distanza, proferire parole di condanna verso gli altri, soprattutto i più deboli, gli invisibili, i profughi, gli stranieri. Non esclusa nemmeno la tentazione di provare addirittura fastidio e indifferenza davanti al dolore di una persona.

Con la mentalità mondana, se assunta, correvamo il rischio di abituarci facilmente a pensare con tanta disinvoltura che il prossimo poteva anche non riguardarci!

La pandemia ha accentuato tutto questo, ma nello stesso tempo, per chi vuol comprendere la lezione, ci sta insegnando che non possiamo lasciare sole le persone, come se fosse del tutto normale, gli anziani e le persone fragili in modo particolare.

Siamo stati tutti messi di fronte a tante ferite, nascoste nell’anima e nella psiche, che richiedono la grande medicina dell’amore: essa sola può nutrire la vita delle persone nella loro situazione reale di fragilità e di solitudine.

La pandemia può anche aiutarci nel renderci consapevoli che siamo davvero fratelli tutti, per cui non possiamo tenere a distanza il prossimo, finendo per difenderci dagli altri e guardare con diffidenza chi è estraneo, straniero, esule, come nemici da cui proteggersi. Chi si lascia vincere dalla teoria del “si salvi chi può!“, si trova poi inevitabilmente a sostenere anche la scelta del “tutti contro tutti“, mentre c’è bisogno invece più che mai di vicinanza, compassione e tenerezza.

Pur nel rispetto delle scelte di una minoranza di scettici, diffidenti del vaccino, ma tenendo conto che siamo responsabili gli uni degli altri, è auspicabile che anch’ essi giungano a comprendere che l’astensione dal vaccino finisce col gravare sulla salute delle altre persone, sul lavoro di molti, già pesante di suo, con conseguenze, non solo economiche, non indifferenti! Non ci sono atti individuali senza conseguenze sociali!

Un altro benefico effetto di questo tempo, per noi cristiani, è il rifuggire da uno “spiritualismo disincantato“, in cui il cammino spirituale è identificato con la sola conoscenza teorica dei contenuti della fede, senza tuttavia nessuna ricaduta sul piano esistenziale. La situazione che stiamo attraversando, mentre ci abilita a servire i fratelli dentro le loro attuali contingenze storiche, in uno stile di solidarietà, ci aiuta a comprendere che Fede e vita camminano sempre insieme, che verità e fatti mantengono uno stretto legame, così che sono destinati a combaciare.

La vita spirituale non è una dimensione a sé stante, separata dalla vita, ma sostiene i battezzati a dare uno spessore evangelico alle complesse realtà vissute nel nostro contesto di vita, dove il servizio ai poveri, ai piccoli, agli emarginati diventa la prova concreta dell’amore.

E mentre ci preoccupiamo per la situazione presente tra noi, non possiamo dimenticare nello stesso tempo quanti nel mondo subiscono altre calamità, vivono conflitti, guerre, malattie, fame, dove i cristiani subiscono persecuzione. Sono ventidue i missionari (anche laici) uccisi quest’anno in odio alla fede!

Il nostro Dio è al lavoro, volendo fare nuove tutte le cose e risanare in profondità le ferite della famiglia umana, ma richiede contemporaneamente il nostro contributo, attivo e responsabile, personale e comunitario, attende che apriamo le porte dei nostri cuori e accettiamo il rischio di cambiare le nostre relazioni, rendendole più semplici, più vere, più umane.

In questo modo non avremo un futuro uguale al passato, avremo, invece, un nuovo futuro.

+ Vescovo Oscar

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