Epifania del Signore

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I Magi che giungono a Betlemme dopo un lungo cammino e lì finalmente incontrano e adorano il Signore Gesù, presentato loro da Maria, sono i rappresentanti di quella lunga catena di “cercatori di Dio” da tutti i continenti, che ha attraversato l’intera storia dell’umanità ed è giunta fino a noi.

Cercare Dio non è un compito esclusivo di coloro che non credono in Lui, ma un impegno irrinunciabile anche di noi credenti, che per grazia abbiamo sì ricevuto il dono della fede, ma che non siamo per nulla esonerati da un continuo approfondimento, alla luce dello Spirito Santo.

Nessuno di noi, infatti, può affermare di conoscere a fondo e definitivamente il Padre del Signore nostro Gesù Cristo, e tanto meno di possederlo. Dio non si lascia rinchiudere in nessun schema umano.

Molto spesso ci illudiamo di averlo trovato una volta per tutte, poi ci rendiamo conto di averlo rinchiuso nei nostri stretti ragionamenti, molto umani, perciò sempre parziali e provvisori.

A volte siamo proprio convinti di conoscere a fondo il Signore, ma poi ci accorgiamo di averlo identificato nel volto tratteggiato dai filosofi, piuttosto che riconoscerlo nel Dio di Abramo, di Isacco e Giacobbe, racchiuso nella esperienza biblica.

Ci illudiamo di aver incontrato Dio, ma poi ci rendiamo conto che non è quello di cui ci ha parlato Gesù con le sue parole e i suoi gesti. È Gesù, infatti, il rivelatore pieno del volto di Dio padre, come è detto nel vangelo: “chi vede me vede il Padre” (Gv 14, 1-12).

È una grazia essere costantemente in ricerca di Lui, perché Egli è novità perenne. Sì, Dio è sempre nuovo, così che non abbiamo mai finito di conoscerlo e ciò ci obbliga a cercarlo costantemente.

Dio non è mai ripetitivo, Dio ci sorprende, così che la nostra è una inquietudine benefica, che ci obbliga a una più approfondita ricerca. È la sete di assoluto che si desta nei singoli individui con diversa intensità, in età e circostanze particolari, giungendo essa per vie e forme diverse.

Per conoscere Dio occorre innanzitutto amarlo, per amarlo occorre che lo Spirito santo ci doni questo privilegio, che cresce nella misura della nostra sete di Lui, che ci ama per primo e viene in dono a noi. “Dio è un evento di amore” ha detto un giorno papa Benedetto XVI, il quale ha cercato costantemente di entrare in dialogo con tutte categorie di persone per individuare insieme le vie tramite le quali conoscere il Dio vivente.

Criterio utile per verificare l’autenticità della nostra fede o della nostra incredulità è la nostra stessa vita, la nostra umanità concreta, la prassi ordinaria nella quotidianità personale, piuttosto che ciò che pensiamo o diciamo a proposito di Dio. La nostra vita spirituale e il nostro impegno concreto di vita nella società ci aiutano a identificare il Dio nel quale crediamo e quello in cui non crediamo, come ci ricorda Teofilo di Antiochia, teologo e scrittore siro dell’epoca patristica: “Se dici: mostrami il tuo Dio, ti rispondo: mostrami l’uomo che è in te e ti mostrerò il mio Dio” (cfr libro ad Autolico, 1.2.1).

La nostra umanità è plasmata da quel Dio al quale aderiamo e nel quale viviamo. Riflettiamo perciò su come viviamo la fede nel nostro mondo interiore in questo preciso momento della nostra vita, come la fede fonda effettivamente le nostre singole giornate, come essa determina soprattutto la qualità delle nostre relazioni interpersonali.

La fede, certo, essendo sempre in movimento, si trasforma nel corso della nostra vita, ma anche domandiamoci quanto noi, mediante la fede, siamo in grado di trasformare l’ambiente di vita nel quale viviamo, cioè di “dare un tono” particolare con la nostra stessa presenza a coloro con i quali viviamo.

Chi incontra il Dio di Gesù Cristo ne esce trasformato, anzi è chiamato a una continua conversione.

A parlare della fede di ognuno di noi, del nostro rapporto personale con il Dio di Gesù Cristo, è dunque la nostra stessa esistenza, piuttosto ciò che pensiamo o diciamo a proposito di Dio.

Oscar Card. Cantoni

 

 

 

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