“Fino all’estremità della terra”

S. Messa di ringraziamento per la canonizzazione di Giovanni Battista Scalabrini .

“Fino all’estremità della terra”

“È troppo poco che tu sia mio servo… Io ti renderò luce delle nazioni, perché porti la mia salvezza fino all’estremità della terra”. Le parole del profeta Isaia, che abbiamo ascoltato nella prima lettura, sono parte del secondo canto del Servo di Jahvé, una figura misteriosa dell’Antico Testamento, ma che la fede sorta dal Nuovo Testamento ha identificato in Gesù.

Mi si potrà facilmente accusare di forzatura del testo, ma oggi, in questa eucarestia in cui vogliamo rendere grazie a Dio per il dono della canonizzazione di Giovanni Battista Scalabrini, mi piace pensare che le parole di Isaia si applicano così bene anche a lui. Scalabrini era già conosciuto. Conosciuto qui nel comasco come parroco di S. Bartolomeo. Conosciuto a Piacenza come vescovo per quasi 30 anni. Conosciuto nei libri di storia come un protagonista del suo tempo, coraggioso fautore della conciliazione tra stato e Chiesa. Conosciuto nel mondo ecclesiale come promotore dell’educazione cristiana, apostolo del catechismo. Conosciuto da molti, in particolare dai suoi missionari e missionarie, come il padre dei migranti. Ma il Signore ha detto: è troppo poco. Scalabrini era già beato. Papa Francesco ha detto: è troppo poco, e l’ha proclamato santo.

La proclamazione di un santo è un atto solenne della Chiesa compiuto soprattutto per additare ai fedeli un modo di vivere la vita cristiana, un esempio che anch’essi possono seguire. In che modo può Scalabrini essere un esempio per noi oggi? Guardando a come è vissuto e a come lo ricordarono i suoi contemporanei, credo che si possano enucleare quattro aspetti.

Fu “l’uomo di Dio… Dio solo e Dio sempre” disse di lui il cardinale Nasalli Rocca. E G. Semeria lo ricordò come un uomo dal “multiforme carattere, che poté a vicenda farlo sembrare uomo politico, uomo d’arte, uomo sociale, quand’egli rimaneva in tutto e sempre il sacerdote, il ministro di Dio”. Sono innumerevoli le espressioni in cui Scalabrini parla della centralità di Dio e in particolare di un Dio che in Cristo si fa Dio in noi, nel Cristo eucarestia si fa Dio con noi, e nel Cristo che muore in croce è Dio per noi. Noi dobbiamo conservare la sua immagine, dobbiamo saper guardare sempre a lui, dobbiamo rimanere in comunione con lui. Riconoscere il primato di Dio rimane essenziale per la vita di ogni credente. Viviamo in un tempo di progressiva, si direbbe quasi inarrestabile, secolarizzazione. Scalabrini avrebbe detto, con sconforto, “Lo stato in cui trovasi al presente la società è tale da far credere, umanamente parlando, inutile a guarirla ogni rimedio” (1877). Ma lo sconforto non è mai per lui l’ultima parola, perché vede con l’occhio della fede che si sta maturando il regno dell’Uomo-Dio.

Scalabrini amò la verità. Il cardinal Capecelatro ricorda che “Amava molto di dire a tutti con apostolica schiettezza la verità anche quando fosse dura”. San Pio X disse che fu un “vescovo dotto, mite e forte, che anche in dure vicende ha sempre difeso, amato e fatto amare la verità, né l’ha mai abbandonata per minacce o lusinghe” (1913). Scalabrini fu spesso oggetto di attacchi polemici, dalla stampa laica ma anche dalla stampa cattolica. È nota la diatriba con l’Osservatore Cattolico, il battagliero giornale intransigente, diretto da don Davide Albertario, che vedeva nel conciliatorismo di Scalabrini un ostacolo per la restaurazione dello Stato pontificio. In tutte le vicende Scalabrini mantenne l’adesione agli insegnamenti della Chiesa con fermezza. “Sentinelle avanzate della Fede… non taceremo la verità, anche quando il non tacerla ci dovesse fruttare l’altrui malevolenza, perché non è agli uomini che dobbiamo piacer, ma a Dio” (1878). La verità sembra diventata una espressione priva di significato ai nostri giorni, dove regna il relativismo, dove ci si accontenta di essere d’accordo sulle procedure per gestire la coesione sociale, dal momento che non si vuole ricercare il consenso sui valori che la sorreggono. Scalabrini ci è additato come esempio affinché non ci stanchiamo di cercare la verità. “La verità vi farà liberi” ha detto Gesù. E il romanziere Antonio Fogazzaro disse di Scalabrini: fu “sapiente, devoto senza misura e senza misura libero”.

Scalabrini fu soprattutto un uomo di carità. “Alta era la sua intelligenza, ma ancora più alto il suo cuore. Non era capace che di amare, di volere il bene, tutto il bene, per tutti” disse di lui l’amico Geremia Bonomelli, vescovo di Cremona. E Benedetto XV si diceva ammirato delle “altissime virtù di lui, e primieramente quella che ne fu principe, la carità”. Scalabrini visse l’amore per gli altri, soprattutto per i più poveri, in modo fattivo, concreto. Fece suo il motto di San Paolo: farsi tutto a tutti. Amò i poveri, quelli di ogni giorno, quelli che venivano aiutati regolarmente. Contribuiva di persona ai funerali dei poveri dell’ospedale in modo che anch’essi fossero accompagnati al cimitero da un sacerdote. Aveva un’attenzione particolare per i carcerati, che visitava, specialmente in occasione della Pasqua, mettendosi a disposizione per le confessioni. Molti hanno testimoniato come ricevesse molto, ma non trattenesse niente. Le pubbliche calamità lo videro attivarsi in prima persona, come nella carestia del 1879-1880, quando arrivò a spogliarsi dei suoi beni per soccorrere i poveri. “La carità di lui non aveva limiti”, disse il Card. Richelmy. La virtù della carità, nei santi, è quella che attira di più e che siamo di più chiamati ad imitare. “Dio è carità, e quando di un uomo si è detto che fu caritatevole, si è detto tutto. È il più splendido elogio”, scrisse Scalabrini (1889). Senza volerlo stava facendo l’elogio di se stesso.

L’ultimo tratto della personalità di Scalabrini che la Chiesa ci addita come esempio fu il suo sguardo compassionevole, in particolare verso i migranti. I migranti li conosciamo tutti, sono i nostri vicini di casa. A volte abbiamo imparato a convivere con loro, a volte siamo insofferenti, perché non sono abbastanza come noi, senza che ci venga mai il dubbio che anche noi non siamo abbastanza come loro. I migranti sono soprattutto un eterno tema del dibattito politico, spesso dipinti in modo distorto per ottenere consensi, spesso condannati all’irregolarità perché tutti gli ingressi sono chiusi, spesso costretti a incamminarsi su rotte insicure per comprarsi un brandello di speranza. Scalabrini vide i migranti del suo tempo, come tanti altri del suo tempo, ma non restò indifferente, si commosse. La commozione non rimase sterile ma si rivolse alla società e al governo, divenne legge e divenne istituzioni, divenne una associazione laicale per la protezione nei porti di imbarco e sbarco e due congregazioni religiose per camminare a fianco dei migranti e sostenerli nella loro speranza e nella loro fede. Soprattutto, la commozione di Scalabrini diventò visione del futuro e della missione della Chiesa, perché, come disse Mons. Giuseppe Cattaneo, Scalabrini “aveva un intuito meraviglioso dei nuovi tempi e delle vie della Provvidenza”. E infatti, per Scalabrini, anche attraverso le migrazioni “si va maturando quaggiù un’opera ben più vasta, ben più nobile, ben più sublime: l’unione in Dio per Gesù Cristo di tutti gli uomini di buon volere” (1901). L’esempio di Scalabrini ci viene additato perché sappiamo superare la nostra indifferenza e acquistare uno sguardo compassionevole, che diventa iniziativa, intervento, sapendo che siamo tutti strumento di un disegno più grande di noi. In queste iniziative ed interventi dobbiamo saper camminare insieme, anche con chi in altre questioni sia schierato da un’altra parte. Perché anche questo è un insegnamento di Scalabrini, che sapeva dichiarare “il bene ovunque lo trovasse, anche se misto a scorie, e senza temere le facili e superficiali critiche altrui e le proteste scandalizzate dei pusilli” (Ing. Cesare Nava).

È troppo poco, dicevamo all’inizio. E già San Giovanni XXIII aveva detto che ci avrebbe pensato il Signore a “dissipare la polvere dall’avello del Vescovo piacentino, suscitando celesti segni indicatori di intramontabile grandezza”. Ora lo veneriamo come santo e di questo ringraziamo il Signore perché ci sentiamo più sicuri nel camminare sulla strada che Scalabrini ha tracciato. È troppo poco ricondurre i superstiti di Israele, dice il profeta Isaia. Anche per Scalabrini era troppo poco dedicarsi al popolo di Piacenza e così, nella cura ai migranti, ha allargato il suo cuore di pastore “fino all’estremità della terra”.

Negli anni precedenti la beatificazione, si poneva il dubbio su Scalabrini: fu un uomo santo o fu solo un uomo grande? Quanto più lo conosciamo tanto più concludiamo: fu un grande santo.

P. Graziano Battistella, cs, Postulatore

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