S. Messa del Giorno di Natale

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Il Vangelo secondo Giovanni ci ha annunciato solennemente che il Verbo, ossia la parola di Dio, si è fatta carne. “Il Verbo si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi”.

Ora il Verbo ha un nome preciso, un volto, un luogo dentro il quale ha sviluppato una storia definita. La parola di Dio è diventata uno di noi, uno come noi: si chiama Gesù Cristo, il figlio del Dio vivente, nato dalla vergine Maria.

Ha ricevuto da Dio padre una missione. È stato inviato proprio per dirci, in parole umane, dentro la nostra condizione terrena, chi è Dio, ossia di quale grande amore noi tutti siamo amati, siamo avvolti.

Nello stesso tempo, ci ha detto chi siamo noi. La luce del Verbo illumina ogni uomo perché Egli ci ha svelato il mistero della nostra vita, il senso del nostro percorso sulla terra, quali sono i veri tesori della vita, dove siamo destinati al termine del nostro pellegrinaggio terreno. Sono questi i grandi interrogativi che domandano una risposta nel nostro cuore inquieto.

Tutto queste verità, Gesù ce le ha rivelate attraverso il nostro linguaggio umano, vivendo i medesimi sentimenti del cuore, offrendoci tutte le occasioni per lasciar trasparire le profondità della vita divina, alla quale siamo direttamente legati, in quanto figli. Dio si serve dell’umana vicenda e della cultura umana per esprimere se stesso.

Sì, siamo Figli amati da Dio padre, non schiavi, non servi, dipendenti e lontani. Siamo Figli liberi, quindi con la gravosa responsabilità di accettare o anche respingere la sua offerta d’amore, poiché Dio non forza mai la porta del nostro cuore. Il cuore dell’uomo può ancora rifiutare la luce e preferire le tenebre.

Ogni volta che celebriamo il Natale del Signore siamo invitati ad accoglierlo con una adesione più viva ed intensa. È l’augurio più vero che, come cristiani, possiamo trasmetterci gli uni gli altri in questo giorno santo.

Ciò comporta di entrare in una relazione più docile e spontanea con Dio padre, sviluppando un vero affetto filiale, con la medesima intensità con cui l’ha vissuto Gesù stesso, sempre in piena comunione con Dio suo padre, pronto ad accogliere la sua volontà.

Nello stesso tempo, la comunione filiale con Dio padre ci impegna a sviluppare una solida comunione tra di noi, figli dello stesso Padre e quindi fratelli e sorelle tra di noi. Senza il riconoscimento della paternità divina è tuttavia impossibile conseguire una durevole fraternità.

Tutti sappiamo per esperienza che non è facile vivere da fratelli e sorelle, (sia a livello di famiglia naturale, come nella vita di discepoli di Gesù, per non parlare dei rapporti con persone di altre provenienze etniche, culturali o religiose). Facciamo fatica ad accettarci nella nostra diversità, ma il nostro compito sta proprio nell’ imparare a stimarci a vicenda, sentendoci responsabili gli uni degli altri, dal momento che la fraternità è un anelito insopprimibile.

Possiamo imparare continuamente ad accoglierci dentro una medesima esperienza di vita, cercare il bene del fratello e non lasciarci turbare dal male, poiché dove abbonda il peccato deve sovrabbondare la misericordia e il perdono.

Una fraternità da acquistare sempre di nuovo: ecco la proficua lezione che ci deriva dalla storia drammatica di questo periodo: dalla pandemia alle diverse guerre in atto, dai problemi economici che ne conseguono. Pensiamo anche alle tensioni nelle famiglie e anche nelle nostre comunità. La concordia è sempre possibile, a ogni livello e in ogni situazione.

Quali ulteriori segni pretendiamo ancora da Dio? Ci dovrebbe bastare una lettura attenta della realtà odierna per trarne le conseguenze. Dio cammina tra noi, dentro la nostra storia. Egli è la luce che illumina le nostre oscurità e se le porte sono sbarrate, egli penetra anche attraverso le fessure perché noi apriamo finalmente gli occhi alla luce divina e tutto acquisterà un senso nuovo e completo.

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