Solennità di S. Abbondio

La festività di sant’Abbondio, patrono principale della nostra città e della diocesi, è un richiamo forte sia per la comunità cristiana che per la comunità civile, è dunque un punto di convergenza, motivo di festa, ma anche di riflessione, in vista di scelte opportune, a vantaggio del bene di tutti.

Rivolgendomi in modo speciale ai cittadini comaschi, di ogni appartenenza culturale e religiosa, ieri sera, nella basilica di sant’Abbondio, ho parlato della necessità di convincimenti comuni, dove tutti si sentono corresponsabili nell’edificare la nostra città, perché diventi più bella, ossia più vivibile, più accogliente, più solidale. 

Una città a misura d’uomo, che lotta contro ogni genere di povertà e non sia un luogo anonimo, dove regna la solitudine e l’indifferenza gli uni per gli altri, tanto meno la discriminazione e l’intolleranza.

Le bellezze della natura che ci circonda, a partire dal nostro lago, e la ricchezza dell’arte sono lo splendido ambiente vitale che ci è stato consegnato, dono grande di Dio ed eredità preziosa dei nostri padri. 

Tocca a noi, però, oggi, dare un’anima, un volto rinnovato alla città, che si presenta agli occhi di quanti la visitano o di coloro che giungono per motivi professionali, come uno specchio del nostro comune sentire, un riflesso della nostra anima.

Oggi, nella celebrazione di questa Eucaristia, mi rivolgo in particolare ai fratelli e alle sorelle cristiani. Se la città è lo spazio in cui Dio abita, la comunità cristiana è l’ambiente privilegiato dove Dio si fa vicino, dove viene incontro agli uomini, è il luogo dove Dio si dona.

La comunità cristiana, in particolare la parrocchia, è pure la casa dove si plasmano e si fortificano i battezzati, con la grazia dei doni di Dio, perché essi stessi diventino, là dove essi vivono e si incontrano con le persone, un segno vivo del Dio misericordioso, di cui Gesù Cristo è immagine piena e trasparente.

La comunità cristiana è anche il luogo dove si tessono relazioni, non convenzionali, né superficiali, dove si prende coscienza della vita che scorre e dei problemi che nascono, una scuola in cui si preparano i cristiani a svolgere, dentro la città stessa, responsabilità e impegni precisi, se si vuole evitare il rischio della insignificanza sociale e culturale. 

Diventare segni efficaci dell’amore di Dio per gli uomini e le donne del nostro tempo nel nostro ambiente, è l’affascinante compito di tutti i cristiani, ma è anche l’occasione favorevole in cui incidere profondamente, a servizio della società, dei poveri, dei più vulnerabili, di quelli che la società facilmente scarta.

I cristiani, per loro condizione, sono chiamati a tradurre nella storia di quaggiù, almeno in parte, i segni escatologici del Regno di Dio, che saranno realizzati in pienezza nella vita futura. 

È un compito che la comunità cristiana accoglie come sfida, così da rendersi presenza propositiva, attenta, responsabile, e a volte anche critica, dentro le stesse istituzioni civili. 

Riprendo quanto ha affermato papa Francesco nella Evangelii Gaudium, al n.75, testo che ho citato nel discorso di ieri sera. “Vivere fino in fondo ciò che è umano e introdursi nel cuore delle sfide come fermento di testimonianza, in qualsiasi cultura, in qualsiasi città, migliora il cristiano e feconda la città“.

Le comunità cristiane, a partire dalle parrocchie, non si sono tirate indietro nei momenti dell’impegno, della solidarietà e dell’accoglienza e non verranno meno in futuro, nella certezza che accogliere i poveri è servire Cristo, lottare per dare dignità a chi ne è privo è riconoscere la comune figliolanza di Dio, che vuole tutti i suoi figli segno della sua gloria. Impegnarsi a servizio della giustizia e della pace è un compito che accomuna tanti uomini e donne, anche non credenti. 

Proprio per trovare insieme i linguaggi più favorevoli e definire le scelte più opportune per trasmettere come singoli e come Chiesa la misericordia di Dio agli uomini del nostro tempo, a partire dalle povertà, vecchie e nuove dei nostri giorni, un anno fa, in questa solennità del nostro Patrono, ho indetto ufficialmente un Sinodo diocesano. 

Credo che sia un grande atto di coraggio, di parresìa evangelica, ma anche risponda a una necessità impellente: quella di aiutare i nostri cristiani a diventare trasmettitori della Misericordia di Dio in un mondo in cui regna tanta aggressività, eppure è tanto ardentemente desideroso di sperimentare pace, fraternità, giustizia e compassione. Sono numerose le persone, e fra queste anche i giovani, che avvertono il bisogno di essere accompagnate e assistite nelle loro domande e nelle loro inquietudini, di ricercare forme di riconciliazione con loro stessi, con gli altri e con Dio, di essere iniziati nel mistero della propria ricerca di vita e felicità. Assumere queste domande come compito ci rende consapevoli di essere parte di una Chiesa per sua natura missionaria, che relativizza i propri problemi interni e guarda con speranza ed entusiasmo al futuro, ma prima ancora che obbliga a una conversione a Cristo, volto della Misericordia del Padre.

A un anno di distanza, posso dire che un buon numero di persone sono già state interessate a questo evento, a partire dal l’impegno della preghiera che ho offerto e che deve essere frequentemente riproposta nelle comunità. Una commissione preparatoria, costituita da vari rappresentanti del Popolo di Dio, si è messa al lavoro con generoso impegno, unito a tanto entusiasmo.

Ora tocca alle diverse Comunità, sparse in diocesi, ma anche ai singoli, concentrarsi sui diversi argomenti proposti, approfondire comunitariamente le singole domande, che richiedono preghiera, riflessione e creatività. È tempo per coinvolgere tutte le comunità cristiane, le parrocchie, i movimenti, le associazioni, i gruppi perché tutti crescano nella consapevolezza che, dentro una Chiesa che cerca di essere il più possibile sinodale, c’è spazio per tutti, guidati dalla presenza misteriosa, ma efficace dello Spirito Santo, che, come afferma Papa Francesco, “offre i criteri per distinguere i tempi di Dio e della sua grazia, per riconoscere il suo passaggio e la via della sua salvezza, per indicare i mezzi concreti, graditi a Dio, per realizzare il bene che Egli predispone nel suo misterioso piano d’amore per ciascuno e per tutti”.

Sant’Abbondio ha il suo bel da fare: proteggere, accompagnare, sostenere tutti i figli di questa santa Chiesa di cui è padre e pastore perché sia testimoniata e annunciata a tutti la misericordia di Dio.

+ Oscar, vescovo

condividi su