Cari fratelli e sorelle: si realizza la profezia annunciata da Gesù: “Quando sarò elevato da terra attirerò tutti a me!”. Il Crocifisso di Combo, molto venerato da secoli da tutti gli abitanti di questa Magnifica Terra, attrae e raduna ancora oggi attorno a sé tutti noi, quale segno di salvezza e di speranza, in un momento così difficile e drammatico attraversato dal mondo intero.
Il Crocifisso su cui pende il Signore Gesù, prefigurato nel cammino del deserto dal serpente di bronzo, come abbiamo ascoltato nella prima lettura dal libro dei Numeri, usato da Mosè, liberava i figli di Israele da morte sicura. Così la croce del Signore è oggi il punto di attrazione perché noi possiamo godere la pienezza della vita, dal momento che essa è la sorgente della nostra speranza. Il desiderio di speranza, infatti, rimane radicato in ogni essere umano come il battito del cuore, eppure noi viviamo tempi con una maggiore difficoltà ad udirlo. La crisi attraversata drammaticamente dalla nostra società consiste proprio in una forte crisi di speranza.
Umanamente parlando, non si direbbe che la croce del Signore assicuri pienezza di vita, anzi essa è considerata dal mondo una pura follia e una vera stoltezza, dal momento che la sapienza umana fonda la grandezza dell’uomo sul potere, sull’avere, sull’affermazione del più forte sul più debole e giudica fortunato chi è vincente attraverso la violenza e la superbia.
Non così la prospettiva cristiana, che considera la croce di Cristo “la gloria delle glorie”, come la definisce un padre della Chiesa dei primi secoli, s. Cirillo di Gerusalemme. La croce è il luogo massimo della manifestazione dell’amore infinito di Dio per ogni uomo, strumento attraverso cui risplende la sua gloria. Attraverso il mistero della debolezza di Dio viene esaltata la sua onnipotenza. Il potere di Dio, manifestato ampiamente da Cristo sulla croce, è infatti il potere dell’amore.
Come sappiamo, Cristo Gesù, divenuto uno di noi, nella sua piena umanità, “Umiliò sé stesso facendosi obbediente fino alla morte e a una morte di croce”. Egli aveva più volte ricevuto dai suoi connazionali l’invito a manifestarsi decisamente quale l’atteso Messia attraverso un messianismo combattivo, fondato sul potere forte della violenza e della forza che distrugge e annienta il nemico. Gesù Cristo, invece, in totale fiducia con la volontà di Dio padre, ha scelto di testimoniare fino alla fine l’amore di Dio che si dona, amando e insegnando che la vera grandezza non sta nel dominare, ma nel servire. Il potere di Cristo si esprime proprio come servizio.
Questa logica del dono, dell’amore al nemico, della solidarietà piena con i deboli e gli ultimi, ha condotto Gesù ad amare raggiungendo il suo punto apicale nel dono totale di sé, attraverso la morte in croce. Questo atto supremo, pienamente libero, compiuto da Gesù non ha segnato una sconfitta attraverso la morte: sarebbe stato il fallimento più pieno della sua vita e della sua missione. La croce di Cristo è invece il suo trionfo perché il Padre suo lo ha risuscitato, dichiarando così la vittoria della vita che sconfigge la morte, e con essa l’odio, la violenza, la malvagità.
La morte di Gesù rivela come vincente l’amore fino alla fine, manifesta che il dono supremo di sé è la massima vittoria possibile, la rivelazione suprema dell’amore di Dio per ogni uomo.
Solo se nutriamo la certezza della vittoria dell’amore sul male e sulla morte, grazie all’evento inaudito che ha visto Dio risuscitare Gesù dai morti, possiamo come credenti in Lui nutrire la nostra speranza cristiana, nella certezza che lo Spirito Santo trasmette anche a noi, e garantisce qui e ora, una nuova effusione di Speranza, nonostante le traversie di tante sofferenze, che non sono mai vane. La risurrezione di Cristo è la primizia che garantisce la futura risurrezione di tutti coloro che sono in Cristo.
La speranza non è astratta: ci permette di incominciare una vita nuova, un rinnovamento, una rivitalizzazione della vita cristiana, personale e comunitaria. Scegliamo così di tradurre in pratica la speranza, che confida nella vittoria di Dio sul male. Attraverso di essa possiamo perciò impegnarci in un amore capace di scusare tutto, credere tutto, sperare tutto (1Cor 13,7). La speranza si esercita nella tribolazione, si approfondisce nella pazienza, si allarga nella capacità di resistere al male. Essa si prolunga con grande naturalezza nell’umiltà e nella magnanimità (Ef 4,2), nella dolcezza e nella amabilità (Fil 4,5), si specchia nella pace (Rom 15,3), si sedimenta nella preghiera (Rom 12,12) e appare inseparabilmente legata alla gioia. Non possiamo, tuttavia, accontentarci di ricevere la gioia: siamo chiamati anche a diventare donatori di gioia (Fil 2,2) ai nostri fratelli.
Questi atteggiamenti, queste scelte molto concrete, ci confermano in un cammino che segna un orientamento nuovo della nostra vita, frutto del Battesimo. Esso ci impegna in una etica di trasformazione, attraverso la quale siamo progressivamente assimilati a Cristo e condotti a vivere per Lui, quali credenti sempre in costruzione. nella consapevolezza che la nostra fede è sempre fragile e incompleta. Possa questa nuova offerta d’amore di Cristo crocifisso e risorto imprimere una nuova vitalità e dinamismo alla nostra vita cristiana, così da divenire pellegrini di speranza.
Oscar card. Cantoni