Domenica delle Palme

L'omelia del Vescovo

Con questa celebrazione siamo introdotti nella settimana di passione, morte e risurrezione del Signore Gesù.

Abbiamo iniziato questo sacro rito facendo memoria dell’ingresso regale di Gesù in Gerusalemme, la città di Davide, nella sua qualità di “Figlio di Davide”. Egli è stato accolto dai suoi abitanti come si acclamano i re di questo mondo, con tanta enfasi, ma Gesù vive consapevolmente questo momento con lo stesso stile messianico che lo ha sempre caratterizzato. Entra, cioè, non per prenderne possesso, ma come il re mite e umile, che non si esalta, ma invoca il bene per i suoi abitanti. Desidera ardentemente che Gerusalemme, la città amata, realizzi veramente ciò che il suo nome significa, città della pace, e ancora oggi continua ad augurarlo a questa Città di Dio, i cui abitanti dovrebbero imparare a convivere a partire dalla diversità delle tre religioni.

Lungo il cammino che dalla basilica di s. Fedele ci ha condotto alle soglie della cattedrale, con i nostri canti abbiamo ricordato la gioia degli abitanti di Gerusalemme, gli stessi che chiederanno la morte di Gesù, sobillata dalle autorità religiose della città.

È bene domandarci con quale animo abbiamo acclamato Gesù, mite e umile di cuore. Quali disposizioni interiori noi abbiamo manifestato con il nostro canto. Non si è trattato, infatti, di una sola rievocazione storica e nemmeno per una semplice esibizione per i turisti, che hanno assistito, secondo i casi, con stupore e ammirazione, o con una certa perplessità, a questa nostra pubblica attestazione di fede e di amore.

La nostra partecipazione è frutto di un coinvolgimento ben più profondo. Abbiamo accompagnato il Signore con l’animo grato di chi sa che Gesù entra a Gerusalemme con il desiderio di donare sé stesso fino in fondo, a prezzo della vita.

Ne consegue che unirsi al cammino del Signore si traduce per ciascuno di noi nel desiderio sincero di seguirlo, confermando per noi stessi la stessa scelta con cui Egli ha vissuto, ossia con l’intenzione di donarla.

Seguire Gesù significa per noi condividere il suo stesso progetto di esistenza “vivendo non più per noi stessi, a difesa e a promozione di noi stessi, ma per Lui e come Lui, che ci ha amato e ha dato tutto sé stesso per noi.

Gesù è il messia che porta sulla croce i nostri pesi. “Egli si è caricato delle nostre sofferenze, si è addossato i nostri dolori” (Is 53,4). Anche noi siamo chiamati a fare lo stesso, come ci ricorda la Scrittura: “Portate i pesi gli uni degli altri: così adempirete la legge di Cristo” (Gal 6,2).

Oscar card. Cantoni

 

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