Anche quest’ anno siamo accorsi ai piedi di Maria, in questo suo santuario, che ci è tanto familiare, nella consapevolezza che Ella ci accoglie tutti nella nostra povera e fragile umanità.
Non nascondiamo alla Madre le nostre ferite, le nostre sofferenze e anche le difficoltà nelle relazioni interpersonali. Non è facile per nessuno accettarci cosi come siamo e nemmeno accogliere benevolmente gli altri, tanto diversi da noi, da come li desidereremmo, ossia a nostra immagine.
Maria, madre amorevole, ci conosce e ci invita ad accettarci per quello che siamo, a valorizzare i doni che ciascuno possiede, senza pretenderne altri che non ci appartengono.
Questa è la sapienza di cui ci parla la prima lettura della Parola di questa mattina.
Essa consiste nell’accogliere di buon grado, con gratitudine, la situazione in cui ci troviamo, nel ben utilizzare i doni che ci ritroviamo e nel fare buon uso del poco che abbiamo. Lo Spirito Santo ci dona la luce perché comprendiamo ciò che ci chiede il Signore e ci dona la forza per realizzarlo.
Anche la malattia, accolta nella nostra esistenza, come pure la vecchiaia, con le sue limitazioni, le sofferenze e le umiliazioni, tutto può essere trasformato in una occasione di grazia, un luogo in cui può risplendere la gloria di Dio.
Non è sempre facile per noi accettare le prove come una grazia; tuttavia, è certo che il Signore non manca di sostenere le fatiche e le sofferenze umane, trasformando il dolore in amore, le nostre fatiche in una occasione per diventare miti, i nostri fallimenti come uno strumento di ripartenza, la nostra morte come un nuovo inizio.
Dio sa fare dei capolavori anche con le macerie dei nostri sogni.
La seconda lettura è un quadretto ricco di intensa familiarità, in cui Paolo usa parole piene di confidenza nei confronti di un suo discepolo, che egli aveva convertito, di nome Filemone. Lo prega di riammettere nella sua casa uno schiavo, Onesimo, che gli era fuggito. Essendo diventato cristiano, lo potrà accogliere come un fratello carissimo nel Signore. Imparare a riconoscere la dignità di ogni uomo, in qualunque situazione si trovi, nella salute o nella malattia, e considerarlo un fratello e non un estraneo, e tanto meno un nemico, è per noi frutto della consapevolezza che la morte e risurrezione del Signore ha salvato e redento ogni uomo e lo ha rigenerato alla vita divina.
Da ultimo, e brevemente, il vangelo ci invita a portare la nostra croce quale condizione per poter seguire Gesù. Nessuno sceglie la propria croce. Ci viene offerta dalle circostanze, dai compiti professionali, dalla situazione del nostro fisico che conta è imparare a fare tutto per amore, sapendo che il Signore porta i nostri pesi, mentre noi ci impegniamo a portare i pesi altrui.
Oscar card. Cantoni