Domenica 16 novembre nel Duomo a Como, il Vescovo, cardinale Oscar Cantoni ha presieduto la Santa Messa giubilare alla quale erano presenti operatori, volontari e ospiti di tutti i gruppi e servizi Caritas della diocesi di Como. Fra i concelebranti, don Alberto Fasola, assistente spirituale della Caritas diocesana. La celebrazione si è tenuta nella Giornata Mondiale dei Poveri e, per la Caritas diocesana, segna l’inizio della “Settimana Giubilare”. Dal 17 al 23 novembre si aprono, infatti, le porte delle Opere Segno Caritas a Como, Sondrio e Morbegno (So), offrendo l’opportunità di conoscere da vicino i luoghi e le persone che ogni giorno si impegnano nel servizio ai più fragili. In molti di questi luoghi saranno gli ospiti ad affiancare volontari e operatori nel racconto delle diverse realtà, così proporre una narrazione non “degli” ultimi ma “con” gli ultimi, vero antidoto all’esclusione e alla “cultura dello scarto” più volte evocata da Papa Francesco e ripresa da papa Leone nell’Esortazione Apostolica Dilexit te. Un’occasione non solo per conoscere le opere della Caritas, ma per toccare con mano la realtà della fragilità e scoprire in essa la speranza che si nasconde nelle pieghe delle nostre città.
Di seguito il testo dell’omelia del Vescovo.
Siamo in molti questa mattina a celebrare l’Eucaristia in coincidenza con il giubileo dei poveri. È stata usata una organizzazione capillare per la partecipazione di tante persone che svolgono, nelle forme più diverse, un volontariato a servizio dei poveri nelle nostre parrocchie. Siate tutti benvenuti!
Vorrei ringraziare innanzitutto i tanti amici che in ogni parte della diocesi si prodigano a servizio dei poveri, aiutando così la Comunità cristiana a superare il virus della cultura della indifferenza e dello scarto, per sottolineare, invece, l’impegno per la cura di chi è spesso lasciato solo ai margini della società.
Vorrei esprimere qui tutta la mia gioia, unita a gratitudine, per l’esemplare testimonianza di servizio gratuito della nostra Caritas diocesana e delle Caritas vicariali. Esse sono uno strumento pedagogico per aiutare l’intera Comunità cristiana ad assumersi sempre più la responsabilità dell’impegno di servizio verso i poveri. Quando ci disponiamo a servire i poveri con tanta generosità e molto impegno, è facile tuttavia sperimentare dentro noi stessi la sottile tentazione di sentirci bravi. Infatti, non ci risparmiamo, donando generosamente tempo, mani e cuore.
Tuttavia, oggi vorrei richiamare con particolare forza, alla luce del primo testo che papa Leone ha inviato a tutta la Chiesa con la sua esortazione Dilexi te (ti ho amato) Ap 3,9, la gioiosa certezza che, impegnandoci con i poveri, siamo noi per primi a ricevere, quindi ad essere evangelizzati. Servire i poveri non è un atto da compiere dall’alto in basso, non un gesto di pietà offerto indistintamente a poveri qualunque, ma un incontro tra pari, tra fratelli e sorelle, con nomi e volti precisi, attraverso cui Cristo viene rivelato e annunciato. Come già ci aveva insegnato s. Giovanni Paolo II, c’è una presenza speciale di Cristo nella persona dei poveri, che obbliga la Chiesa a fare una opzione preferenziale per loro.
I poveri non sono quindi un problema sociale, essi sono una questione familiare. Sono dei nostri, ci appartengono! Il nostro rapporto con loro non può essere ridotto a una attività qualunque o a un ufficio della Chiesa (104) e ciò determina radicalmente la particolare relazione con ciascuno di essi, arrecandoci benefici reciproci. Mentre li aiutiamo, mettendo a loro disposizione i nostri mezzi economici, essi, in contraccambio, ci evangelizzano. Ci rivelano innanzitutto la nostra precarietà e la vacuità di una vita apparentemente protetta e sicura, come sottolinea papa Leone (109) e insieme, ci riconducono all’essenziale della nostra fede. I poveri non sono una categoria sociologica, ma “la carne stessa di Cristo”, come già li aveva definiti l’amato papa Francesco nella Evangelii gaudium.
Ricordo con commozione e vivo stupore una confidenza intima che don Roberto Malgesini mi aveva riservato, ossia il suo sguardo pieno di stupore e di commozione alla scoperta di questa realtà (i poveri sono la carne di Cristo), che dava ragione al suo impegno di vicinanza affettuosa e concreta nei confronti dei senza dimora, delle singole persone che vivono in strada, di cui conosceva perfettamente il nome e la loro provenienza, poveri che egli quotidianamente incontrava nelle vie della nostra Città, offrendo loro, con garbo signorile, la colazione. Il nostro impegno a servizio dei poveri non può essere considerato una sola opera di filantropia, sia pure meritoria. Il prenderci cura dei poveri è una azione ecclesiale attraverso la quale noi tocchiamo la carne di Cristo. In loro Dio si rende presente, fragile e concreto.
Ogni volta che serviamo i poveri, che oggi si manifestano dentro tante forme di povertà, (compresa la povertà morale, spirituale e culturale) noi dobbiamo imparare a riconoscere in essi i tesori più preziosi attraverso i quali Gesù ama mostrarsi. Non sono i poveri ad aver bisogno della Chiesa, è la Chiesa ad aver bisogno dei poveri. La povertà diventa profezia. Ci libera dalla tirannia dell’avere. Smaschera la cupidigia del possesso. L’essere umano non è fatto per l’accumulazione, ma per il dono. Nel volto dell’altro, ferito e consumato, noi riconosciamo il volto di Cristo vivente.
Oscar card. Cantoni
