Vicariato di Monteolimpino

Omelia a chiusura della Visita vicariale

Questa Eucaristia, che stiamo celebrando insieme, sigilla e dà pieno compimento all’esperienza comunitaria di questi brevi, ma intensi giorni di visita pastorale, che ho più volte definito quale “evento che scompiglia”.

È stata per voi una occasione favorevole per rivedere il cammino percorso insieme in questo vicariato, un momento opportuno per considerare con me lo stile delle vostre comunità alla luce degli orientamenti diocesani, proclamati dal nostro Sinodo, ma anche uno stimolo per nuove promettenti aperture creative.

È emersa nettamente l’immagine di una Chiesa che vuole essere una casa accogliente verso tutti, ma anche di una Comunità cristiana che non si accontenta di riunire i figli di Dio dentro le sue mura, ma contemporaneamente li apre sul mondo per seminare fraternità e misericordia verso tutti, dal momento che Dio non esclude nessuno dei suoi figli, ma continuamente li cerca, perché Egli vuole riversare su tutti il suo amore, la sua tenerezza di Padre.

Suggestiva, per comprendere questa verità, è l’immagine di piazza san Pietro in Vaticano, per il suo colonnato a due braccia, che si aprono ad accogliere tutti, ma insieme non si rinchiudono per trattenere. Sono aperte, non restringono, immobilizzando quanti sono inclusi nella piazza. La Chiesa non si restringe dentro una esperienza riservata a pochi, ma non si rassegna ad uscire fuori, nel mondo, per annunciare il messaggio che le è stato affidato, cioè quello di trasmettere concretamente a tutti la misericordia di Dio.

Qualcosa di simile ritorna nel brano evangelico che oggi è stato annunciato. Gesù purifica il tempio di Gerusalemme, casa di Dio, ridotto a mercato.

Questo suo gesto disturba e inquieta le coscienze dei presenti, e nello stesso tempo, Gesù assicura che il tempio distrutto (che è il suo corpo) verrà riedificato in tre giorni, generando perplessità e giudizi ingenerosi da parte dei presenti.

Con la morte di Gesù nessuno si aspettava più nulla dai suoi discepoli, privati come orfani del loro Maestro. Invece, con la risurrezione di Gesù e la discesa dello Spirito Santo, si realizza un evento inatteso. I discepoli, sospinti dallo Spirito del Signore risorto, sono rivestiti di potenza e parlano con coraggio, spinti fuori nell’ambiente in cui vivono e da lì fino agli estremi confini della terra.

Ecco la Chiesa “in uscita”, di cui ci parla continuamente papa Francesco. Non è voglia di riconquista di una civiltà ormai non più cristiana, ma ardore di annunciare la misericordia di Dio, collaborando per un mondo che ha tanta fame di verità, di relazioni profondamente umane, che desidera la pace, che invoca giustizia e solidarietà, e insieme è bramoso di vera amicizia.

Dio non si rivela nella forza o nella potenza, ma nella debolezza e nella fragilità di un neonato. Non con mezzi forti e sorprendenti, possiamo oggi servire il mondo, come si sarebbero attesi “i Giudei che chiedono segni e i Greci che cercano sapienza”, come ci riferisce s. Paolo nella lettera ai Corinti, nella seconda lettura; ma annunciando Cristo crocifisso, potenza di Dio e sapienza di Dio, cioè con mezzi poveri, espressione di un amore umile, che si offre con generosità, che manifesta compassione e tenerezza, in nome di Colui che ci ha amati e ha dato tutto sé stesso per noi.

Invito tutti voi, in virtù del vostro Battesimo, a vivere fin da ora da risorti, anticipando così la civiltà dell’amore che Dio sogna per l’umanità intera.

Continuate quindi a seminare segni di pace, di unità e di fraternità verso tutti e le vostre Comunità diventeranno sempre più attrattive.

Oscar card. Cantoni

 

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