Omelie di mons. Vescovo nelle celebrazioni in Cattedrale

Omelia S. Messa di ringraziamento – 31 dicembre

Vorrei innanzitutto sottolineare questa frase del vangelo che abbiamo appena udito:
Maria, da parte sua, custodiva tutte queste cose, meditandole nel suo cuore”. Ecco richiamata una dimensione essenziale dell’animo di Maria: la sua disposizione all’ascolto, per riflettere sul significato profondo degli avvenimenti. Maria sa interpretare nella fede i diversi fatti, riesce a collegarli gli uni agli altri, perché tutto è interconnesso.

Certamente Maria riconosce una discrepanza tra ciò che le era stato annunciato dall’angelo al momento della annunciazione e la situazione non facile nella quale ella, con Giuseppe, è stata coinvolta, alla nascita di Gesù a Betlemme e cerca di darsi una ragione.

Il Figlio di Dio, il promesso Messia, nasce non in un palazzo regale e nemmeno in una condizione normale, ma in una misera grotta e viene deposto in una mangiatoia, dopo la negata ospitalità all’albergo, perché per loro non c’era posto (Lc 2,7)

L’atteso delle genti, Colui che “salverà il suo popolo dai suoi peccati” (Mt 1,21), non è certo accolto con i dovuti onori, ma viene riconosciuto esclusivamente da alcuni pastori, accorsi “senza indugio“, stupefatti dall’angelico annuncio. Solo i piccoli e i poveri sono stati gli spettatori attoniti del nato re.
Maria sa rileggere nella fede il succedersi di questi episodi, intravvedendo in essi la realizzazione storica delle promesse rivoltole dall’angelo Gabriele, quando l’ha salutata “piena di grazia” (Lc 1,28).

Vogliamo fare nostra la capacità riflessiva di Maria, che il vangelo ritrae mentre nel suo cuore meditava sul senso degli eventi, di cui lei stessa era stata in parte protagonista e testimone.
Anche noi, sull’esempio di Maria, se diventiamo capaci di uno sguardo contemplativo, siamo messi in grado di riflettere nella fede sul tempo che abbiamo vissuto quest’anno, sulla crisi che ci sta colpendo, sulle calamità che si sono succedute in questi mesi, sulle fatiche, sui lutti, sulle sofferenze che come popolo e come singoli abbiamo affrontato in questo periodo drammatico della nostra storia.

Con lo stesso sguardo di fede di Maria, ci viene offerta la possibilità di rileggere questo anno, senza tuttavia nasconderci le fatiche e la provvisorietà del tempo presente, riconoscendo in esso, insieme a una crisi sanitaria, economica, sociale e religiosa, che non potremo superare facilmente, anche una opportunità inedita, dal momento che Dio, e solo lui, riesce a trasformare una situazione di male in una occasione di bene.

Come credenti, osiamo confidare che la nostra esistenza, insidiata da grandi difficoltà, si sviluppa anche oggi all’interno di un disegno buono da parte di Dio Padre, che deve essere però unito nel dialogo aperto tra la sua libertà e la nostra.

Vinciamo innanzitutto il sospetto, molto ricorrente, di interpretare la pandemia come un’azione punitiva da parte di Dio. Egli ha inviato il suo Figlio e lo Spirito santo perché anche noi diventiamo suoi figli, come ci ricorda un antico adagio dei Padri della Chiesa: “Il Figlio di Dio si fece Figlio dell’uomo, affinché l’ uomo, mescolandosi a Dio e ricevendo l’adozione filiale, diventi Figlio di Dio” (s. Ireneo).
Dio non può volere il male per i suoi figli adottivi, perché li ama sinceramente, ma certo dobbiamo imparare a riconoscere dentro questa situazione, così complessa e dolorosa, anche un salutare avvertimento che il Signore rivolge a ciascuno di noi, personalmente, come membra vive della  Chiesa, e al mondo intero.

Abbiamo vissuto un Natale molto diverso da quelli degli anni precedenti, ma non meno autentico, forse il più difficile, dal momento che l’incertezza accompagna in questo periodo la grande avventura della umanità.
Davanti al debole Bambino, con accanto Maria e Giuseppe, non abbiamo nascosto le nostre paure, più consapevoli di un tempo della nostra finitudine e vulnerabilità, anche se “dobbiamo imparare ad accogliere la nostra debolezza con profonda tenerezza” (EG 88).
Gesù è accanto alla solitudine e alle sofferenze di ciascuno, porta con noi le croci di questo periodo per rendercele meno pesanti.
Vinciamo allora il sospetto, riferito nel libro dell’Esodo, quando il popolo, in un momento di difficoltà, ha avuto la sfacciataggine di domandarsi: “Il Signore è in mezzo a noi si o no? (cfr Es 17,7). Rinnoviamo la nostra fede nel Signore che è con noi, ci accompagna e ci sostiene, piange con noi vedendo la debolezza dei suoi figli.
Lo sottolineo con le parole stesse di papa Francesco: “Abbiamo un’ àncora: nella sua croce siamo stati salvati. Abbiamo un timone: nella sua croce siamo stati riscattati. Abbiamo una speranza: nella sua croce siamo stati risanati e abbracciati affinché niente e nessuno ci separi mai dal suo amore redentore“.

In questi mesi abbiamo intravisto i “segni di morte”, nei diversi contesti, a partire dalle nostre famiglie, negli ospedali come nelle case di cura per anziani, nelle scuole, come nelle nostre comunità parrocchiali, segni che balzano subito agli occhi attraverso i mezzi di informazione. Tuttavia dobbiamo pur imparare ad ammettere e riconoscere anche i “segni di risurrezione” , spesso nascosti, ma reali, ancor più di prima, presenti nel nostro ambiente di vita.

Non possiamo dimenticare gli innumerevoli gesti di solidarietà, prodotti nel tempo del confinamento, non solo da parte degli operatori sanitari, medici e infermieri (che hanno agito con una dedizione ammirevole), ma anche l’impegno di tante altre persone comuni, solitamente dimenticate, che si sono prese cura degli altri e che si sono rivelate non tanto dei semplici funzionari o professionisti quanto dei veri fratelli, quali trasportatori, forze dell’ordine, addetti alle pulizie, badanti, sacerdoti e religiose, insegnanti, avendo cura di non seminare panico, ma corresponsabilità. Non è rimasta parola vuota la certezza che “nessuno si salva da solo!”.

Una assistenza reciproca tra il vicinato ha creato nuove amicizie, ha offerto nuove opportunità per un tempo meno accelerato, a differenza di prima, dove l’essenziale veniva subordinato alla fretta, alle scadenze, agli impegni da risolvere immediatamente, alla economia del frivolo e dell’illusorio.

Molti hanno trovato l’occasione favorevole  per riscoprire o intensificare relazioni autentiche tra le persone, per una vita più conviviale, meno caotica e fugace, per instaurare  un maggior contatto dialogico tra genitori e figli, per una autentica vita fraterna, anche con una attenzione personalizzata verso i  poveri, i quali hanno bisogno non solo di cibo o di accoglienza nei dormitori, ma soprattutto di amicizia, senza essere considerati solo casi da risolvere, quietando così la nostra coscienza.

Certo, in questo periodo si sono intensificati anche gli episodi di violenza in famiglia e gesti sconsiderati nelle strade, indice di una mancanza di rispetto verso la collettività e verso se stessi. Il bene, tuttavia, anche se non è appariscente, è più forte del male.

Dureranno queste pratiche solidali? Si svilupperà questo risveglio della solidarietà tra famiglie, tra le diverse realtà comunitarie, si rafforzeranno nel tempo futuro i legami di solidarietà concreta e vissuta, da persona a persona, da gruppi a persona, da persona a gruppi, dopo la conclusione di questa pandemia ? E quali lezioni ne deriveranno per coloro che hanno responsabilità di governo?

Le persone, oggi più che mai, hanno bisogno di essere aiutate, sostenute, accompagnate. Le nostre comunità parrocchiali hanno cercato in tutti i modi di esprimere vicinanza e offrire segnali di speranza, così come non sono mancate occasioni di sostegno, di responsabilità e di solidarietà da tanti giovani volontari, ma anche dai membri della Croce Rossa, del Servizio civile, dagli Alpini e da altre persone di buona volontà e di ogni fede religiosa.

I “segni di risurrezione”, anche se sempre discreti e non  appariscenti a prima vista, sono testimoniati un po’ ovunque, come frutto della carità.
L’azione caritativa a più livelli, realizzata in questo periodo, si è dimostrata e rimane la prima e la più credibile testimonianza del Vangelo, la via più immediata per la evangelizzazione.

Ecco perché, anche in questo anno, possiamo trovare il coraggio di ringraziare e benedire il Signore.

 

S. Madre di Dio – 1 gennaio 2021

Iniziamo questo nuovo anno nella festa della Madre di Dio. Ricorriamo a Lei perché consapevoli di essere suoi figli amati, che non nascondono la loro fragilità e vulnerabilità, anzi le riconoscono come una componente ordinaria della comune umanità.

Maria ci rimanda, come sempre, a Gesù, suo figlio, e non si stanca di ripeterci: “Fate quello che vi dirà“, ci suggerisce di percorrere il cammino che il Signore ci indica nel vangelo.

Cosa ci dice il Signore?

Il Signore rivolge a noi il suo volto e ci concede pace “. Come frutto della sua passione e morte in croce, Gesù ci chiama a costruire, assieme a Lui, una comunità di fratelli, essendo Egli nato, morto e risorto perché noi ricevessimo l’adozione a figli e potessimo come Lui gridare: “Abba”, Padre!

Proprio perché figli di un unico Padre, e quindi fratelli tra di noi, ci sentiamo tutti coinvolti nell’edificare “un nuovo orizzonte di amore e di pace, di fraternità e di solidarietà, di sostegno vicendevole e di accoglienza reciproca”.

È un compito ineludibile, a cui ci richiama oggi papa Francesco, nel suo messaggio per questa giornata mondiale della pace.

La pace è sì il grande dono che Dio ci offre, ma noi uomini siamo stimolati a costruirla insieme quotidianamente, dovunque noi siamo e qualunque compito noi svolgiamo all’interno della società.

La pace sarebbe subito compromessa se cedessimo alla tentazione di disinteressarci degli altri, specialmente dei più deboli; se con grande facilità, quasi automaticamente, voltassimo lo sguardo dai bisognosi, che sempre più frequentemente incontriamo anche nei nostri ambienti di vita; se non ci impegnassimo in modo sistematico a “formare una comunità composta da fratelli che si accolgono reciprocamente, prendendosi cura gli uni degli altri“.

Un pericolo sempre in agguato è il divenire indifferenti a tutto ciò che ci circonda, senza lasciarci toccare dalla fragilità, dalle malattie, dalla morte di quanti ci sono vicini, facendo scivolare le diverse immagini di richiesta di aiuto in veloce scorrimento, quali quelle che vediamo alla televisione, “passando oltre”, senza nemmeno lasciarci commuovere.

Come fratelli amati, tutti eguali in dignità, siamo chiamati a prenderci cura gli uni degli altri, costruendo così una società fondata su rapporti di fratellanza, dal momento che “ci siamo resi conto di trovarci sulla stessa barca, tutti fragili e disorientati, ma nello stesso tempo importanti e necessari, tutti chiamati a remare insieme“, come ebbe a dire papa Francesco in quel drammatico pomeriggio del 27 marzo 2020, in una piazza s. Pietro completamente vuota.

La pace si costruisce se ci assumiamo “la responsabilità di accogliere e soccorrere i poveri, i malati, gli emarginati, ogni nostro prossimo vicino o lontano nel tempo e nello spazio“.

Abbiamo tutti inciso nella memoria del cuore il nostro d. Roberto Malgesini, che con la sua presenza “mite e gentile” girava nella città di Como, giorno e notte, per portare generi di conforto ai diseredati, chiunque fossero. Possiamo certamente annoverarlo tra quei “profeti e testimoni della cultura della cura”, che papa Francesco, nel suo messaggio, auspica che noi tutti diventiamo, una volta convertito il cuore e cambiata la nostra mentalità, così da costruire veramente la pace nella solidarietà e nella fraternità.

Chiediamo di diventare anche noi artigiani di pace, sull’esempio del nostro conterraneo d. Roberto, che con il suo sacrificio ha commosso l’intera Italia e oltre, “disposti ad avviare processi di guarigione e di rinnovato incontro con ingegno e audacia“.

2° Domenica dopo Natale – 3 gennaio 2021

Un saluto e un augurio affettuoso ai membri di questa santa assemblea celebrante, qui riuniti nella nostra cattedrale, la chiesa madre, come a tutti voi, amici che ci state seguendo attraverso la tv o via streaming dalle vostre abitazioni.

È una felice occasione per me potermi collegare con voi, nelle diverse parti della nostra vasta diocesi e così farvi giungere un segno di vicinanza come pure di augurio per l’anno nuovo appena iniziato.

La mia vicinanza accompagna in particolare quanti sono colpiti dal corona virus o che sono in quarantena, quanti  sono ricoverati negli ospedali o nelle case di riposo per anziani e coloro che se ne prendono cura. Ricordo le famiglie in difficoltà, persone che hanno avuto in questo giorni dei lutti di loro familiari o che stanno passando un periodo di forte preoccupazione per i prossimi mesi. C’è pure chi vive un disagio sommerso tra i ragazzi e nei giovani che vivono  rinchiusi in casa, impossibilitati a incontrare i loro amici.

L’augurio per il nuovo anno è che ciascuno possa riconoscere la presenza amorosa del Signore, anche se silenziosa, sapendo che siamo sempre nelle sue mani e che non possiamo mai perdere la fiducia né la speranza. Vorrei suggerire a tutti una invocazione: “Affido, o Signore, il mio presente al tuo amore. Il mio passato alla tua misericordia. Il mio futuro alla tua provvidenza!”

La liturgia di questa seconda domenica dopo il Natale ci vuole aiutare ad approfondire il senso del Natale del Signore appena celebrato e ci insegna a riscoprirne il frutto perché la sua visita è sempre una occasione di crescita.

La preghiera di colletta, che ho indirizzato a nome di tutti al Signore, ci offre l’opportunità per mettere a fuoco il punto centrale.

Si tratta di una invocazione rivolta a Dio padre perché tutti noi, credendo nel suo Figlio unigenito, “gustiamo la gioia di essere tuoi figli“.

Ecco perché Gesù è venuto tra noi: ci ha donato Dio, di cui siamo figli, consapevoli e grati.

Dio ci è venuto incontro entrando, attraverso Gesù, nella nostra storia umana. Egli si è fatto carne, divenendo uno di noi, perché anche noi potessimo diventare come lui, figli di Dio, amati.

Siamo stati “scelti prima della creazione del mondo per essere santi e immacolati di fronte a Lui nella carità, predestinandoci ad essere per lui figli adottivi, mediante Gesù Cristo”, come abbiamo ascoltato nella seconda lettura.

La nostra umanità (e non altrove!) diventa così il luogo dove si realizza l’incontro tra Dio e noi, lo spazio santo dove Dio si lascia incontrare, a partire dai nostri gesti semplici, perché quotidiani e ordinari.

È bello e consolante sentirci figli amati, cercati da Dio, che riversa su di noi il suo amore di padre, essendo noi tutti e ciascuno preziosi ai suoi occhi e al suo cuore. Non siamo abbandonati a un destino cieco, ma inseriti in un progetto d’amore da parte di Dio, che si preoccupa di noi, anche e soprattutto in questo periodo così triste della nostra storia umana.

Proprio perché figli, noi contiamo per Dio, prima ancora dei nostri meriti o al di là delle nostre colpe, delle nostre qualità o dei nostro impegno. Dio ci ama non perché siamo buoni, ma perché Lui è buono, essendo amore gratuito.

Da qui la nostra grandezza e la nostra gloria, la nostra dignità e il rispetto che ci è dovuto, proprio in quanto figli di Dio.

Da qui ne consegue il nostro impegno a vivere da veri figli di Dio come una grazia che si sviluppa nel tempo e diventa una occasione per maturare la nostra umanità. Essa cresce tanto quanto noi ci facciamo dono, non pensiamo solo a noi stessi, ma allarghiamo lo sguardo agli altri, prendendoci cura di essi.

Teoricamente sappiamo bene che non siamo figli unici e che facciamo parte di un popolo di fratelli e sorelle, su cui riversare a nostra volta tutta la nostra amorevolezza, ma non bastano i buoni propositi, occorrono fatti concreti e scelte precise.

In questi mesi di pandemia abbiamo imparato a stringere nuovi legami di solidarietà, sapendo che ognuno di noi ha bisogno degli altri e che nessuno si salva da solo.

Abbiamo avuto la possibilità di scoprire la vicinanza degli altri, di quanti si sono presi cura di noi, ci hanno sostenuto non solo con il loro semplice ruolo professionale o istituzionale. Essi sono andati oltre, ossia si sono qualificati dei veri autentici fratelli, senza risparmio di tempo e dedizione. A volte, alcuni di loro hanno rischiato anche la vita pur di venire incontro a chi fosse in difficoltà.

Siamo entrati in un tempo propizio, nonostante le avversità, per crescere  in quella “cultura del dono” che deve continuare e moltiplicarsi oltre il tempo dell’emergenza, che deve essere costantemente promossa e coltivata. Per questo, per dirla con Papa Francesco, c’è bisogno non solo di un vaccino per il corpo, m anche un “vaccino per il cuore”

“il Natale del capo, diceva S. Leone Magno, è il Natale del corpo, tutti i membri della  Chiesa. E noi diveniamo veramente figli di Dio se ci prendiamo cura dei nostri fratelli, come parte dell’unico corpo.

Da qui le nostre scelte responsabili.

Questo sia il frutto della Eucaristia che stiamo celebrando.

 

Solennità dell’Epifania – 6 gennaio 2021

Oggi la Chiesa annuncia con gioia questa certezza: la luce di Cristo illumina ogni uomo, la sua verità trasforma la vita di ogni persona, qualunque sia la sua provenienza, a qualunque cultura appartenga, il suo amore conquista e affascina chiunque cerca la pace e la giustizia.

L’amore del Signore non è riservato a un gruppo di privilegiati, ma si estende a tutti i popoli della terra, riscalda il cuore di chi riconosce con stupore di essere amato personalmente da Dio, instaurando così rapporti di vita nuova con i fratelli.

Cristo, il Verbo fatto carne, non è stato inviato dal Padre esclusivamente per il suo popolo, ma a partire da lui, vuole raggiungere ogni nazione e civiltà. “Andate in tutto il mondo, predicate il Vangelo a ogni creatura“: è il compito missionario che Gesù ha consegnato ai suoi apostoli. Il desiderio di Dio Padre è quindi quello di coinvolgere tutti gli uomini nel suo piano di salvezza, come eredi delle promesse fatte a Israele.
I Magi che dall’Oriente giungono a Betlemme, assetati di verità e di amore, sono la prova che ogni uomo è attratto irresistibilmente dalla verità che è Cristo, quindi da ciò che il vangelo ancora oggi realizza, come ci ricorda papa Francesco nella EG: “il Vangelo risponde alle necessità più profonde delle persone, perché tutti siamo stati creati per quello che il Vangelo ci propone”(265).

Il vangelo non è una filosofia di vita, una verità astratta, non insegna innanzitutto dei valori da incarnare, ma è il racconto di uomini e donne che avendo incontrato la persona viva di Cristo, luce e salvezza del mondo, si sono lasciate trasformare da lui, sono state salvate dalla potenza del suo Spirito, che è come dire dalla forza creativa e innovatrice dell’amore.

Chi incontra Cristo aderisce innanzitutto alla sua persona, a lui si conforma e quindi  lo segue quale suo testimone. L’ acqua battesimale sarà il segno di questa vita nuova.

Ai Magi, uomini sapienti, provenienti dalle regioni dell’Oriente, giunti a Betlemme dopo un lungo cammino, non è stata raccontata una verità, una tra le tante vie di vita che gli uomini hanno proposto lungo la storia, ma è stato presentato loro un semplice bambino, davanti al quale “si prostrarono e lo adorarono“, come ci ricorda il Vangelo.

Con i doni che gli hanno offerto hanno preannunciato inconsapevolmente la sua persona e la sua futura missione.
L’ oro, dono prezioso che illustra la regalità di Cristo, l’incenso, che rivela la sua divinità, la mirra, che in qualche modo annuncia la sua  passione e morte.  I Magi non hanno più avuto bisogno di ulteriori conferme. Sono ritornati ai loro Paesi “per un’altra strada” convinti che solo in Gesù è la sola risposta soddisfacente per una vita bella, intensa e felice. Quella che il Signore desidera per noi, cercatori di senso, se saremo capaci di “reinventare” una nuova fraternità, fondata sulla accoglienza reciproca, nella accettazione della nostra differenza, se sapremo suscitare la compassione verso ogni uomo e donna attraverso atteggiamenti e gesti di vicinanza, di cura e di solidarietà, cui c’è tanto bisogno oggi nel nostro mondo.

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