XXII Convegno diocesano dei cori liturgici

Cari amici nel Signore,

Vi accolgo con molta gioia nella nostra cattedrale e vi ringrazio per la vostra presenza, per la quale, immagino, vi siete preparati anche con qualche sacrificio.

È un momento di viva comunione perché ci fa sentire tutti insieme popolo di Dio, radunato da ogni parte della nostra diocesi lo, espressione quindi di un’unica grande famiglia, chiamata ad annunciare le meraviglie dell’amore di Dio e ad acclamare il Signore per i molteplici doni con cui sostiene e guida la nostra vita, quella della Chiesa e del. Mondo intero.

Penso al servizio prezioso che svolgete nelle vostre Comunità parrocchiali, ossia a sostenere nel canto le diverse assemblee liturgiche, rendendo più gioiose e partecipate le diverse celebrazioni, nel corso dei vari tempi dell’anno liturgico. Vi ringrazio per il. Vostro impegno, che esige preparazione e presenza continua. Si tratta di un vero e proprio ministero, accolto come una grazia e vissuto con lucida consapevolezza.

Fate in modo, tuttavia, di non contrapporre il canto della corale agli interventi della assemblea, ma guidatela benevolmente, sostenetela con il vostro intervento, a volte solistico, ma più spesso insieme con tutti i presenti, i quali devono essere coinvolti il più possibile, anche con la scelta di canti semplici, espressione di un cuore gioioso e grato.

Certo, a volte l’assemblea si esprime come può, ma è frutto di una fede testimoniata insieme, che non vuole e non può tacere ciò che vive e sperimenta, ossia l’incontro con il vivente Signore Gesù nell’ascolto della sua Parola e nel Corpo e nel Sangue di Cristo donato, che fa di noi un solo corpo e un solo spirito.

Il canto è soprattutto espressione di amore, non esecuzione formale di testi di altri, per cui tutti possiamo e vogliamo manifestare nel canto i nostri sentimenti che dicono lode, ringraziamento e supplica.

Non imitiamo il fariseo, descritto nel vangelo di oggi, che loda se stesso mediante la sua preghiera. Presumeva di essere giusto, commenta il vangelo, e nello stesso tempo, sentendosi sicuro di se stesso, disprezzava il povero pubblicano, che pregava con umiltà il suo Dio. Era molto lucido sulla pagliuzza negli occhi degli altri, ma incapace di vedere la trave nei propri (Mt 7, 3-5). Si può infatti utilizzare il canto per sentirsi bravi, importanti e insostituibili, e magari acclamati per le doti canore. Non è questo ciò che desideriamo o ciò per cui ci coinvolgiamo con il canto nella liturgia.

Il canto per noi discepoli di Gesù è un mezzo molto immediato per incontrare il nostro Signore, con la grazia dello Spirito, un modo per esprimere comunitariamente la gioia dell’incontro, secondo i tempi liturgici, le realtà del tempo presente e le diverse situazioni storiche dell’oggi della salvezza.

Il canto è soprattutto espressione di amore, preghiera del povero che “penetra le nubi”, ossia occasione preziosa e immediata per “connettersi” con il Signore ed esprimergli con immediatezza, unita a profonda fiducia, i sentimenti del nostro cuore.

Ci è di esempio il povero del vangelo di oggi, che gridava: “abbi pietà di me peccatore”. I poveri del vangelo sono i nostri maestri di vita cristiana perché “peccatori perdonati”, via maestra per riconoscere la salvezza che Dio opera in noi.

Una raccomandazione: Cercate di coinvolgere il più possibile i giovani e le ragazze, i grandi assenti nelle nostre assemblee, perché attraverso il canto possano percepire i doni dello Spirito, sempre pronto a corrispondere con larghezza alla libertà umana. Siate per loro testimoni della gioia evangelica, che sapete esprimere proprio attraverso i vostri canti.

Oscar card. Cantoni

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