«Effatà»: rifuggire l’egoismo e la chiusura del cuore con lo stile di Dio

Viviamo la 30ma giornata mondiale del malato celebrando l’Eucaristia in questa santa casa di Maria, nel santuario di Tirano. Ella ci accoglie in quanto nostra madre, presso la quale troviamo un sicuro rifugio, dal momento che tutti siamo malati nel corpo e nello spirito, bisognosi di consolazione, di una vicinanza amica, di uno sguardo di tenerezza.

Insieme ai fratelli e le sorelle che ci stanno seguendo mediante la televisione, siamo uniti con quanti soffrono, specialmente nei luoghi e nelle situazioni di maggiore povertà, nella speranza che tutti siano aiutati a sperimentare il tempo della malattia come una occasione di particolare comunione con Cristo, crocifisso e risorto, che porta su di sé il dolore del mondo.

Ci guida il vangelo di oggi, che ci ha presentato Gesù operante nella regione di Tiro e Sidone, al di là dei confini di Israele, territori pagani, mentre è all’opera nel cercare e guarire quanti sono affetti da diverse malattie. Gli viene condotto un sordomuto perché gli imponga la mano.

Egli allora lo conduce in disparte, lontano dalla folla, lo tratta con discrezione, non vuole farsi pubblicità. Gli mette le dita nelle orecchie e con la saliva gli tocca la lingua. Alzando lo sguardo al cielo, rivolto verso il Padre suo, pronuncia una parola risolutiva, grida: “Effatà, cioè apriti” e subito l’uomo viene sanato.

Anche oggi, il Signore Gesù si mette in ricerca di tutti noi, credenti e non, perché ogni persona, in quanto figlio di Dio, è oggetto della sua attenzione e della sua compassione. A tutti Gesù vuole rivelare il cuore paterno e materno di Dio padre. Egli cioè si prende cura di tutti noi con la forza di un padre e con la tenerezza di una madre, ci guarisce dalla paura, che ci fa restare sordi e ciechi, quando siamo tentati di emarginare i sofferenti, che invece necessitano di attenzioni e di cure.

Gridando “Effatà” verso il sordomuto, Gesù insegna lo stile di Dio e tale deve essere il modo con cui ci rapportiamo tra noi, come fratelli e sorelle, rifuggendo l’egoismo e la chiusura del cuore. Come un giorno Gesù ha guarito un sordo muto, così egli viene incontro a noi donandoci nuova vita nello Spirito Santo, sciogliendoci da quegli ostacoli che ci bloccano in noi stessi, che ci impediscono di essere liberi e di relazionarci con gli altri, a causa di prevenzioni e difese.

Vogliamo ricordare qui i tanti operatori sanitari che oggi rivelano la misericordia del Padre e le sue mani misericordiose. Penso soprattutto ai medici, agli infermieri, ai tecnici di laboratorio, a quanti assistono gli ammalati, ai numerosi volontari che donano tempo prezioso a chi soffre. Sono i testimoni della carità di Dio, che sull’esempio di Gesù, misericordia del Padre, utilizzano la loro competenza professionale e la trasformano in una vera e propria missione.

Ogni malato proviene da una storia particolare, manifesta ansie e paure. È importante allora far sentire il nostro interesse per ogni persona, ponendoci in ascolto della sua situazione di vita, prima ancora delle sue patologie. È la persona, con la sua dignità, che deve essere messa al centro dell’attenzione, che non può mai venire meno, nonostante la sua fragilità.

Facciamo in modo che la comunità cristiana avverta sempre più il dovere di offrire ai malati la vicinanza di Dio, la sua benedizione, la sua Parola, la celebrazione dei sacramenti, a partire dai sacerdoti e dai ministri della comunione. Esiste poi un “ministero della consolazione”, che invece è compito di ogni battezzato saper valorizzare, così da offrire a chi soffre una vicinanza davvero fraterna, realizzando così la parola di Gesù: “ero malato e mi avete visitato“. Diveniamo così strumento attivo della misericordia di Dio che manda a noi quali strumenti del suo amore e della sua tenerezza.

+ Vescovo Oscar

Foto © Il Settimanale della Diocesi di Como

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