Solennità di S. Abbondio 2022, patrono della Diocesi

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Cari fratelli e sorelle, amati dal Signore!

Vi accolgo con gioia in questa nostra splendida Cattedrale, nella solennità di S. Abbondio, patrono principale della Chiesa di Como, Vi saluto cordialmente e ringrazio tutti voi, rappresentanti di tutti i vicariati, con i vostri sacerdoti. Sono ammirato per la presenza delle Autorità civili e militari del Territorio, segno di stima e di apprezzamento per l’impegno della diocesi nelle realtà sociali. Non mancano nemmeno alcuni membri della amata Chiesa di Crema, insieme ad amici di vecchia data, compagni di studi, miei ex studenti, tanti fratelli e sorelle incontrati nei diversi anni del mio ministero pastorale. Un saluto anche ai membri delle altre Chiese cristiane operanti in diocesi.

Saluto i miei familiari, compresi mamma e papà che ci seguono dal cielo.

Sono grato in modo particolare per la loro vicinanza ai padri Vescovi lombardi, accompagnati dal Metropolita, l’arcivescovo metropolita Mario Delpini e ai padri vescovi di altre Chiese. Un segno di grande fraternità, che mi rassicura e mi conforta.

È presente anche il cardinale Francesco Coccopalmerio, che mi ha introdotto nei giorni scorsi nel Collegio dei Cardinali, nel corso del Concistoro.

Ho ricevuto dal Signore, per mezzo di papa Francesco, il dono del cardinalato, Credo che anche s. Abbondio, di cui sono figlio e discepolo, e insieme, per grazia di Dio e della Sede apostolica, suo indegno successore, possa lodare e glorificare con noi il Signore.

Ho accolto la nomina a cardinale con molto stupore e meraviglia, tuttavia interpreto questo gratuito dono di Dio come una occasione per un approfondimento della mia chiamata nella sequela del Signore Gesù, che si è via via specificata e intensificata, spero anche mediante un mio coinvolgimento responsabile e generoso.

Oggi, più che mai, sento rivolte particolarmente a me le parole della prima lettura dal libro del Siracide. Lo Spirito del Signore mi ricolma di grazia per rendergli gloria e lode, e insieme mi invita a rivolgere parole di sapienza a tutti voi, membri di questa santa Assemblea. [Sono un piccolo e umile strumento nelle mani di Dio, ma confido nella potenza dello Spirito perché possa esprimere parole misurate che la Chiesa affida oggi a me per ciascuno di voi.]

Rimango una espressione visibile di quella “lettera” di cui abbiamo udito parlare S. Paolo apostolo nella seconda lettura, una lettera di Cristo, scritta non con inchiostro, ma con lo Spirito del Dio vivente, quindi non composta da me, ma da Dio, che mi ha reso ministro adatto di una Nuova Alleanza.

Vorrei che tutti interpretassimo la mia nomina a cardinale non secondo la consuetudine mondana, malattia tanto frequente e comune, che permea il nostro modo di pensare, di sentire e di agire e che fa consistere tutto il senso del vivere nella logica della carriera, della promozione e del successo.

Piuttosto auspico che questa mia nuova condizione possa essere intesa evangelicamente, quale occasione privilegiata per servire con impegno il popolo di Dio nelle persone concrete, con le loro storie e speranze, con le loro attese e delusioni, con le loro sofferenze e ferite e promuovendo la loro dignità.

In secondo luogo, vorrei di tutto cuore, con questa nuova chiamata che il Signore mi ha rivolto, contribuire alla formazione di Comunità cristiane che vivano tra di loro una sempre più profonda comunione e insieme rafforzino la dimensione missionaria della nostra Chiesa.

Ci sentiremo così più fedeli a Cristo, che ci vuole discepoli missionari, disposti ad accogliere tutti, anche quelli (e sono la più parte!) che nel nostro ambiente di vita sono indifferenti alla fede o l’hanno abbandonata, vivono come se Dio non esistesse, o addirittura si sentono esclusi dalle nostre Comunità.

Siamo consapevoli di non vivere più in un contesto di cristianità, diventati ormai di fatto una minoranza. Tuttavia sono convinto che la Chiesa non ha perso la sua forza generativa e può ancora creare uno spazio sicuro di verità che guarisce e libera gli uomini del nostro tempo.

La prova della pandemia altro non ha fatto che aprirci gli occhi, catapultati in un mondo completamente nuovo e diverso da quello precedente (che è inutile rimpiangere perché non si ripeterà più!). E’ questa l’ora propizia per un rafforzamento della fede, piuttosto che gettarci nello scoraggiamento, prigionieri del pessimismo.

[Constatiamo dolorosamente una diminuzione dei fedeli, una rarefazione di partecipanti alla Eucaristia domenicale, un impoverimento della vita comunitaria, mentre viene accentuato invece l’individualismo. Sottolineiamo pure con tristezza la lontananza dalla Chiesa di molti giovani, soprattutto dalle celebrazioni liturgiche, tuttavia vogliamo riconoscere e promuovere nei giovani quei numerosi segni di speranza che essi sanno inventare.]

Entrati in un’altra epoca, completamente diversa dalla precedente, occorre trovare quel coraggio apostolico per attivare nuove risorse spirituali e umane, di cui l’uomo contemporaneo ha estremamente bisogno, che esercitino una vera e propria “attrazione” alla nostra testimonianza cristiana, frutto della comunione con il Signore Gesù e della sua verità sull’uomo.

Questo non è tempo per le Comunità cristiane di rivendicare privilegi, assicurarsi nuove strutture o concentrare le energie esclusivamente sui (pochi) fedeli praticanti. E’ tempo di impegnarci decisamente come una vera sfida per una immaginazione pastorale, che stimoli la “ricomposizione della vita spirituale in nuove forme e per nuovi modi di esistere” (Francesco, 28 luglio 2022). Così che quanti desiderano uscire da una oscurità interiore e chiedono di essere ascoltati e incoraggiati (e non sono pochi!) possano riprendere fiducia e speranza, così da trovare un orizzonte di senso e di vita.

Vorrei sorreggere e incoraggiare tutti i generosi operatori pastorali e quanti investono le loro energie nell’osare qualcosa di nuovo perché incoraggino i discepoli di Gesù a ritrovare, dentro le nostre Comunità, il gusto e la bellezza della vita cristiana, proponendo cammini interiori che portino serenità e gioia, proprio come frutto della sequela di Cristo.

Né possiamo esonerarci dalla costruzione di un mondo più vicino ai piani di Dio, in compagnia di quanti, nella società civile, si impegnano generosamente e responsabilmente nella costruzione e nella difesa del bene comune, nella promozione della vita, nonostante gli scenari presenti, quali i fenomeni migratori di massa, le guerre, le pandemie, gli squilibri ambientali.

Come cardinale sono stato rivestito di un abito di gioia, il rosso porpora.

Esso non ha affatto finalità scenografiche per la consolazione dei fotografi, né può venire interpretato come un puro gusto estetico. Il rosso, color sangue, ci ricorda piuttosto che la testimonianza per Cristo deve poter giungere fino all’effusione del sangue.

Questa condizione ci rimanda immediatamente alle radici stesse della nostra Chiesa di Como, dal sacrificio dei nostri primi Martiri, Carpoforo e compagni, fino a questi anni recenti, in cui il sangue dei nostri fratelli ha impreziosito e resa feconda di buoni frutti la nostra Comunità cristiana.

È il martirio “suprema prova di carità” (LG 42) riconosciuto solo nel 2013, del beato Nicolò Rusca, arciprete di Sondrio, e più recentemente il beato Teresio Olivelli (2018), nato a Bellagio, la beata suor Laura Mainetti, (2021) barbaramente uccisa a Chiavenna nel 2000, preceduti dal sacrificio di Giulio Rocca, di Isolaccia e membro del “Mato Grosso” (1992), di don Renzo Beretta (1999) a Ponte Chiasso, e infine la vita donata di don Roberto Malgesini, a San Rocco in Como, nel 2020, la cui memoria continua ad affascinare tante persone, compreso il Santo Padre.

Il generoso impegno di servizio ai poveri, ai profughi, ai senza dimora, agli uomini feriti della vita di questi nostri fratelli e sorelle, a quanti la società facilmente scarta, non è caduto nel vuoto, ma è stato assunto dallo stesso sacrificio di Cristo, acquistando così un valore redentivo.

Questi nostri martiri, di ieri e di oggi, hanno dato la vita come il Cristo. La scelta di papa Francesco di riconoscere e additare la Chiesa di Como come una “Chiesa martire” è una delle ragioni che spiega la mia nomina a cardinale, quale vescovo di questa Chiesa, ammantata dal sangue fecondo e glorioso di questi suoi figli.

 

Occorre inoltre che noi tutti diveniamo sempre più consapevoli e grati della grandezza dei doni che lo Spirito ha elargito alla nostra Chiesa di Como in questi anni recenti, soprattutto con la rivelazione di Dio Trinità misericordia, legata al santuario di Gallivaggio in Valchiavenna (miracolosamente salvato dalla frana) e che ora ha raggiunto il suo culmine nel santuario di Maccio di Villaguardia, luogo di consolazione per un rinnovato fervore e per un cammino di novità evangelica.

Qui la Santissima Trinità si è rivelata col nome di Misericordia, profeticamente preannunciando il magistero della Chiesa del nostro tempo: il nome di Dio Trinità è misericordia (cfr Francesco, Misericordiae vultus, 2). Rendiamo lode e grazie a Dio per questo straordinario dono che la Chiesa ha riconosciuto e che ora noi possiamo accogliere con gioia e di cui dobbiamo fare tesoro.

Proprio perché eredi di una Chiesa martire e visitati da Dio, che ci ha richiamati al centro del messaggio evangelico, facciamo ritorno a Lui, ravvivando il nostro impegno attraverso un personale “martirio d’amore“, compiuto mediante tanti piccoli gesti di offerta quotidiana. Ciò implica una assunzione di responsabilità concreta, cioè il prendersi cura con amore l’uno dell’altro, creando una nuova mentalità che superi l’individualismo e pensi piuttosto in termini di comunità, sottolineando la priorità della vita di tutti rispetto alla appropriazione dei beni da parte di alcuni (cfr EG 188).

Incardinato, infine, nella Chiesa di Roma, che “presiede alla comunione universale della carità(LG 13), il mio pensiero, unito alla gratitudine per papa Francesco, che regge con mite fermezza il timone della Chiesa, corre ai santi apostoli Pietro e Paolo, che hanno consumato la vita per Cristo e per il suo vangelo, fecondando così la santa Chiesa con il loro sangue.

Il dono dell’anello cardinalizio che papa Francesco mi ha offerto, è stato accompagnato da un grande auspicio: “Sappi che mediante l’amore del Principe degli Apostoli si rafforza il tuo amore verso la Chiesa”.

Mi aiuti e mi sorregga la vergine Maria, madre di Dio e della Chiesa, e per l’intercessione di S. Abbondio, possa io crescere e perseverare in un incessante amore oblativo, così da diventare per voi un vero “modello del gregge”.

Oscar Card. Cantoni

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